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martedì 8 luglio 2025

La Confessione di Pietro

 La Confessione di Pietro

(Matteo 19:13-20. Marco 8:27-30. Luca 9:18-21)


Poi Gesù giunse nella regione di Cesarèa di Filippo e chiese ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Essi risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». «Ma voi, chi dite che io sia?», chiese loro. 

Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del vero Dio».

Allora Gesù gli rispose: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che riterrai sulla terra sarà ritenuto nei cieli, e tutto ciò che perdonerai sulla terra sarà ritenuto nei cieli». 

Poi ordinò ai suoi discepoli di non dire a nessuno che egli era il Messia.


COMMENTI.


  1. Simon Pietro rispose: «Tu sei il Cristo, il Figlio del vero Dio».

Questa confessione, che scaturiva dal cuore di Pietro, era la più importante di tutte quelle che i discepoli e gli ascoltatori avevano fatto finora sulla persona e l'opera di Gesù Cristo. Cristo viene confessato come Figlio di Dio, non nel senso in cui tutti gli uomini possono essere chiamati figli di Dio, figli del Padre celeste, ma nel senso del tutto speciale del Figlio unigenito, il Figlio unigenito di Dio. La divinità di Gesù Cristo fu proclamata. Infatti, era stato anche prima chiamato Figlio di Dio, ma Gesù non benedisse coloro che lo chiamavano così, perché sapeva che non era stato detto nel senso in cui avrebbe dovuto essere detto. Al di sopra di profeti e patriarchi, angeli e arcangeli, in un'altezza inaccessibile, Gesù si trova in una relazione molto stretta e diretta con il Padre Celeste. Egli è Dio che si è incarnato ed è venuto sulla terra per salvare il genere umano dai suoi peccati. Lo diciamo mille volte oggi, discepoli, maestri, catechisti, teologi e in generale tutti i cristiani, ma le nostre confessioni sono come fiori inodori e incolori che non suscitano alcuna emozione né in noi né negli altri. Le nostre parole sono fredde come il ghiaccio. Perché anche i nostri cuori sono freddi. È una formale confessione di fede.

Ma in quel giorno benedetto, quando su un pendio del Monte Hermon Pietro fece la più importante confessione della sua fede, le parole di Pietro ebbero tutto il calore del suo cuore. Furono un lampo che illuminò l'intero mistero nascosto sotto l'umile figura del Nazareno. Furono un'illuminazione venuta dall'alto. Furono una rivelazione di un mondo soprannaturale. E questo è confermato da Cristo stesso, che benedice Pietro per la rivelazione di questa suprema verità e caratterizza la corretta confessione di Pietro come una roccia, una roccia solida e incrollabile, sulla quale sarà edificata la Sua Chiesa. Nessun attacco, nessuna onda abissale che Satana e i suoi agenti fomenteranno nel corso dei secoli potrà scuotere la Sua roccia

(Arciprete, Agostino Kantiotis).

(2)E io ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le potenze degli inferi non prevarranno contro di essa.

Abbiamo detto che il Vaticano non è ieri. È un albero antico. Ma qual è la sua radice? Qual è il suo inizio? Qual è la gloria fondamentale su cui si fonda il colossale edificio del cattolicesimo romano? È il famigerato Proteo. È la teoria sul Papa, che i teologi della Chiesa papale vogliono basare principalmente sul passo di Matteo 16,18: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa". I seguaci del papismo, interpretando questo passo, affermano che Pietro è la pietra su cui è fondata la Chiesa, che a Pietro furono conferiti privilegi straordinari, le due chiavi, simboli dell'autorità religiosa e secolare su tutto, che Pietro fondò la Chiesa di Roma e per 25 anni consecutivi ne fu il primo vescovo, e che pertanto il rispettivo vescovo di Roma, in quanto successore di Pietro, per diritto divino, eredita tutti i diritti dell'apostolo Pietro sulla Chiesa, diviene il vicario di Cristo in terra, il capo visibile della Chiesa militante, la guida dell'intera Chiesa. Mondo cristiano, al quale, come interprete infallibile della volontà del Signore, ogni credente deve chinare il capo e dire, come nella preghiera del Signore: «Padre Santo, sia fatta la tua volontà!».

Ma questa interpretazione del passo in questione di Matteo, che persino i bambini dei cattolici succhiano come caramelle, è errata. Non uno o due, ma ben 40 grandi Padri e Dottori della Chiesa interpretano diversamente questo passo, su cui i papisti vogliono fondare il Primato del Papa. L'interpretazione corretta dei Padri e dei Dottori della Chiesa è che la roccia su cui Cristo disse che avrebbe edificato la Chiesa non è Pietro, non è la fede in Pietro, ma la roccia è la fede in Cristo, la confessione che Gesù Cristo non è solo un uomo, ma è il Figlio del Dio vivente, come Pietro confessò, a nome degli altri Apostoli.

Dei 40 Padri e Dottori della Chiesa, tra i quali, secondo S. Dellatre, sono compresi 10 Papi, citiamo pertinenti estratti di discorsi di Sant'Agostino, questo grande Padre della Chiesa, che la Chiesa d'Occidente ha onorato in modo particolare e annovera tra i suoi quattro grandi Dottori. Ecco come Sant'Agostino interpreta il brano sopracitato: «Tu sei Pietro, e su questa pietra, che hai confessato, su questa pietra, che hai riconosciuto dicendo: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente", edificherò la mia Chiesa, cioè su di me, il Figlio del Dio vivente, edificherò la mia Chiesa. Ti edificherò su di me, e non io su di te».

In un altro dei suoi discorsi, Sant'Agostino afferma: «I Corinzi, divisi e in disputa su chi degli Apostoli fosse più grande degli altri, per fondare la loro fede su di lui, dicevano: “Io sono di Paolo, io di Apollo, e io di Cefa”, cioè di Pietro. Ma altri, non volendo edificare su Pietro, ma sulla pietra, dicevano: “Io sono di Cristo” (1 Corinzi 1:12), il che significa che non volevano che il nome di Paolo né il nome di Pietro, ma il nome di Gesù Cristo fosse la base e il fondamento, affinché Pietro fosse edificato sulla pietra e non la pietra (cioè la fede in Cristo) su Pietro».

Infine, nel suo celebre libro sulla Città di Dio, scrive quanto segue: «Noi, che siamo cristiani, sia con le nostre parole che con le nostre opere, non crediamo in Pietro, ma in Colui nel quale Pietro stesso aveva creduto... Questo Cristo, Maestro di Pietro, che lo ha catechizzato sulla via che conduce alla vita eterna, è anche il nostro unico Maestro».

E poiché questa è la vera interpretazione del passo di Matteo, l'intero edificio teorico di Proteo crolla in rovina. Per questo motivo, gli occidentali compiono uno sforzo persistente e disperato per sostenere la loro teoria di Proteo non solo su altri passi del Nuovo Testamento, ma anche su altri testi, la cui contraffazione è stata dimostrata dalla critica, come le disposizioni pseudo-isidoriane e altre. Un fiume è l'inchiostro che i teologi della Chiesa d'Occidente hanno speso, schiacciando il loro spirito per sostenere Proteo. Che sforzo vano!

Ma l'altra teoria, secondo cui Pietro fondò la Chiesa di Roma e ne fu il primo vescovo per 25 anni consecutivi, è fondata su basi storiche? La storia testimonia che nella Roma pagana e mondana, sede dei Cesari, il cristianesimo fu predicato per la prima volta da semplici cristiani, giunti a Roma dall'Oriente per vari motivi. E persino da schiavi, che prestavano servizio nelle ricche case dei Romani e nei palazzi dei Cesari. Era, infatti, l'epoca in cui ogni cristiano era un missionario, e il suo primo compito era la trasmissione della fede cristiana. Quindi il cristianesimo esisteva a Roma anche prima dell'arrivo degli Apostoli.

Ma anche se accettiamo che Pietro abbia fondato la Chiesa di Roma, che dire di questo? Pietro ha forse fondato solo la Chiesa di Roma? Prima di arrivare a Roma e di testimoniare lì, Pietro aveva visitato venti città d'Oriente e aveva fondato delle Chiese. Ma nessuno dei Vescovi di queste Chiese d'Oriente pensò nemmeno di rivendicare il Primato, perché l'Apostolo Pietro passò per la sua città. Riuscite a immaginare cosa accadrebbe alla Chiesa se tutti i Vescovi delle città visitate dall'Apostolo Pietro la pensassero come il Vescovo di Roma? Avremmo allora, invece di un Primato, una moltitudine di Primati, una moltitudine di Vescovi, divisi, come i figli di Zebedeo, di cui il più grande è. Non può esistere un'idea più sorda e stolta.

Eppure! I seguaci del papismo, ponendo come fondamento la loro teoria di cui sopra, iniziarono a costruire lo Stato Pontificio, a erigere il Trono del Papa

Alessio Mattolini



lunedì 26 maggio 2025

Il vino nella tradizione cristiana

 Il vino nella tradizione cristiana


Il vino ha un ruolo profondamente radicato nella tradizione cristiana, sin dalle sue origini bibliche fino alla liturgia contemporanea. Esso è ben più di una semplice bevanda o di un prodotto agricolo: è un simbolo vivo, un linguaggio teologico e una presenza sacramentale. La sua ricchezza simbolica attraversa l'intera storia della salvezza, a partire dall'Antico Testamento, culminando nella figura di Gesù Cristo e nella celebrazione, cuore della fede cristiana. Il vino nell’Antico Testamento Nella Bibbia ebraica, il vino è frequentemente menzionato come segno della benedizione di Dio, simbolo della gioia e dell’abbondanza che il Creatore vuole donare all’umanità. Un esempio chiaro si trova nel Salmo 104, dove si loda Dio per aver dato «il vino che rallegra il cuore dell'uomo» (Sal 104,15). In questo versetto il vino è associato alla bontà del creato e alla cura provvidente di Dio per le sue creature. Allo stesso tempo, l’Antico Testamento non ignora i rischi connessi all’abuso del vino: l’ubriachezza di Noè (Genesi 9,20-27) rappresenta una delle prime storie bibliche dopo il diluvio, e rivela che anche i doni di Dio possono essere usati male, con conseguenze dolorose. I profeti, come Isaia e Amos, denunciano la corruzione e la dissolutezza dei ricchi che abusano del vino a scapito dei poveri, mostrando che l'uso sbagliato del vino può diventare simbolo di decadenza morale e spirituale. Tuttavia, il vino mantiene la sua carica simbolica positiva, legata alla promessa messianica. In Isaia 25,6 leggiamo che sul monte Sion il Signore preparerà un banchetto con vini eccellenti per tutti i popoli, segno del Regno futuro: «Il Signore degli eserciti preparerà per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti». Questo banchetto diventa l’immagine del tempo escatologico, della comunione piena con Dio. Il vino nella vita Il vino assume un significato ancora più profondo nel Nuovo Testamento, soprattutto nella vita pubblica di Gesù. Il primo miracolo descritto nel Vangelo secondo Giovanni è la trasformazione dell’acqua in vino durante le nozze di Cana (Gv 2,1-11). Questo miracolo non è casuale: avviene durante una festa di nozze, simbolo dell’unione tra Dio e il suo popolo, e manifesta la gloria messianica di Gesù. La quantità e la qualità del vino prodotto da Gesù – sei giare da circa cento litri ciascuna – indicano la sovrabbondanza della grazia che Egli è venuto a portare nel mondo. Il vino nuovo è simbolo del tempo nuovo, dell’alleanza nuova fondata non più sulla legge, ma sull’amore e sul dono totale di sé. Cana è una profezia silenziosa della Croce: il vino che rallegra la festa anticipa il vino del calice, che sarà versato per amore. Gesù parla spesso del vino nelle sue parabole. Ad esempio, nella parabola degli operai della vigna (Mt 20,1-16), il padrone della vigna rappresenta Dio, e il vino è il frutto del lavoro condiviso nel Regno. Nella parabola degli otri nuovi (Mc 2,22), il vino nuovo è figura della novità del messaggio evangelico, che non può essere contenuto nei vecchi schemi religiosi. L’Ultima Cena Il significato più profondo e centrale del vino nella tradizione cristiana si trova nell’Ultima Cena. Durante quel pasto pasquale, Gesù prende il calice e pronuncia parole che cambiano per sempre il rapporto tra l’uomo, il vino e Dio: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati» (Mt 26,28). Da quel momento in poi, il vino non è più soltanto un simbolo, ma diventa sacramento. Nel calice si compie un mistero di presenza reale: il vino è trasformato nel Sangue di Cristo. Questo è al centro della fede cristiana e della liturgia. Il vino, frutto della vite e del lavoro dell’uomo, si unisce al sacrificio di Cristo, che si offre per la salvezza del mondo. Il calice dell’Eucaristia è anche segno di comunione: i fedeli che partecipano a quel calice entrano in una relazione profonda e vitale con Cristo e tra loro. Come dice San Paolo: «Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo?» (1 Cor 10,16). Bere dallo stesso calice significa condividere non solo la fede, ma anche la vita stessa di Gesù, la sua passione, morte e risurrezione. Il vino nella liturgia e nella vita della Chiesa Nella celebrazione, il vino viene presentato sull’altare con parole cariche di significato: «Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo vino, frutto della vite e del lavoro dell’uomo: lo presentiamo a te perché diventi per noi bevanda di salvezza». Qui vediamo l’unione del divino e dell’umano: ciò che è frutto della terra e del lavoro umano viene trasformato in dono di salvezza, in sacramento redentore. Il vino è presente anche nei riti della consacrazione dei sacerdoti, in alcuni sacramentali e nella benedizione delle tavole. Durante i secoli, i mistici e i santi hanno parlato spesso del vino come simbolo dell’amore estatico di Dio: basti pensare al Cantico dei Cantici, dove il vino è metafora dell’unione sponsale tra Dio e l’anima. Il vino come attesa del Regno Infine, il vino cristiano è proiezione verso il futuro, verso la pienezza della comunione con Dio. Gesù stesso, durante l’Ultima Cena, dice ai suoi discepoli: «Io non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel Regno del Padre mio» (Mt 26,29). Queste parole contengono una promessa: il vino bevuto è anticipo del banchetto celeste, immagine della gioia eterna. La celebrazione è, per la Chiesa, una finestra aperta sull’eternità. Il vino come rivelazione del mistero cristiano Nel vino, la fede cristiana riconosce molto più di un semplice elemento naturale: riconosce un dono di Dio profondamente carico di significati, una realtà che racchiude in sé la bellezza, la verità e la profondità del mistero cristiano. Il vino è anzitutto segno della gioia della creazione, simbolo di un mondo che Dio ha voluto buono e abbondante, un mondo in cui l’essere umano può gustare i frutti della terra e provare la letizia di vivere. Quando si guarda alla terra che genera la vite, al sole che matura il grappolo, al lavoro dell’uomo che raccoglie, pigia e custodisce il succo dell’uva fino a farlo diventare vino, si contempla, in quel processo, l’armonia della creazione e la collaborazione feconda tra l’uomo e il Creatore. Infine, il vino cristiano è anticipazione della gioia eterna del cielo. Ogni celebrazione è come un frammento di eternità che si apre nella temporalità: il vino che si beve sull’altare è segno e promessa della festa senza fine che Dio ha preparato per coloro che lo amano. Quando Gesù, nell’Ultima Cena, afferma che non berrà più del frutto della vite fino a quando non lo berrà nuovo nel Regno del Padre, ci invita a guardare oltre il momento presente, a vivere la liturgia come una soglia aperta sull’infinito. Il vino diventa allora attesa, speranza, nostalgia del compimento, sete di eternità. Ogni volta che il calice è alzato, si rinnova davanti agli occhi e al cuore dei fedeli non solo la memoria della Passione di Cristo, ma anche l’annuncio della sua Risurrezione e della vita nuova che ci attende. Il vino ci parla di una salvezza concreta, tangibile, incarnata: ci ricorda che Dio non è distante, ma vicino, presente nella nostra storia. È un Dio che ha scelto di manifestarsi nei segni più semplici, nei gesti più umili, nei simboli quotidiani – come il pane e il vino – per farsi riconoscere. Nel vino, dunque, si beve molto più del frutto della vite: si beve un mistero. Si beve il dolore trasfigurato, l’amore donato, la vita che vince la morte. Si beve la fede in un Dio che si fa nutrimento, in un amore che non teme di diventare sangue. Si beve, in definitiva, il mistero stesso dell’amore divino, che non si limita a promettere, ma si consegna, si versa, si offre interamente, lasciando nel calice il sigillo eterno della speranza cristiana.

Damiano Di Lernia


giovedì 8 maggio 2025

Corso di Esicasmo

Corso di Esicasmo 




 A chi si iscrive, la prima lezione, al fine di rendere più facile la comprensione delle lezioni successive contiene: 
 L'Esicasmo - introduzione 
 Compendio sull'esicasmo 

 Per il Corso chiediamo una donazione di almeno 150 euro 

 A coloro che si iscriveranno verranno mandati i seguenti libri: 



 Attraverso le pagine del libro “Racconti di un pellegrino russo”, immergiti nelle avventure spirituali di un’anima in cerca di Dio, scoprendo la bellezza della peregrinazione interiore e della ricerca della preghiera continua. Con questa donazione, ci aiuti a diffondere la saggezza e l’ispirazione di questo classico della spiritualità, aprendo le porte dell’anima al viaggio verso la profonda unione con Dio. 



L’essenza del silenzio: Esicasmo Trascendentale L’essenza del Silenzio: Esicasmo Trascendentale è un’opera che riflette sulla pratica dell’Esicasmo come un cammino spirituale profondo e universale. Attraverso una serie riflessioni, il libro ci conduce alle radici storiche e alle tradizioni del silenzio interiore, il ruolo della preghiera e della meditazione, e l’importanza della disciplina nella ricerca di unione con il divino. Fra Giovanni invita i fedeli a riscoprire il valore del silenzio come mezzo di conoscenza intuitiva e connessione con l’Essere, offrendo strumenti pratici per integrare l’Esicasmo nella vita quotidiana. Con un approccio accessibile e contemplativo, l’opera si propone come una guida per chi cerca un’esperienza autentica del sacro, affrontando le sfide spirituali del mondo contemporaneo e sottolineando l’importanza della comunità e della condivisione nel percorso esicastico. L’essenza del Silenzio si configura come un invito a immergersi nella profondità dell’interiorità e a vivere la spiritualità in modo rinnovato e significativo. 

Al Corso, che inizierà alla fine di maggio (stiamo creando una apposita piattaforma online sul sito), saranno ammessi soltanto le persone che ne avranno fatto domanda e avranno effettuato una donazione liberale a favore della Chiesa Ortodossa Italiana di almeno € 150 sul conto corrente bancario UNICREDIT BANCA – C.C.B. 103887904 – intestato a Chiesa Ortodossa Italiana – 
IBAN: IT59H0200805218000103887904 
 Oggetto: Contributo Corso Esicasmo 

 Per informazioni e adesioni: 
chiesaortodossaitaliana@gmail.com  
unisangiov.crisostomo@gmail.com 
accademia.ortodossa@gmail.com 

 tel. +39 0621119875 - +39 3917065512



lunedì 3 marzo 2025

Libera Nos Malo - Corso per Esorcisti

 

Libera Nos Malo - Corso per Esorcisti

 

E’ aperta l’iscrizione al Corso per Esorcisti organizzato dall'Università Ortodossa San Giovanni Crisostomo. Il Corso è rivolto ai membri del clero (sacerdoti e diaconi), ai religiosi (monaci, oblati) ed ai laici interessati alla materia (previo discernimento da parte del Rettorato). Essendo quella dell'esorcismo una materia estremamente delicata, la Chiesa Ortodossa Italiana autorizza, nelle proprie Diocesi ed Esarcati, detta attività previo il superamento del Corso di formazione e l'autorizzazione del vescovo territorialmente competente.

In base al Canone n. 50 del Codex Canonum della Chiesa Ortodossa Italiana (L'Esorcista) - vedi pagg. 205- 206 del Libro Nella Luce Divina di Filippo Ortenzi e fra Giovanni Maria Maddamma edito dalle edizioni francescane Le Vie della Cristianità.)

Comma 1) Fedeli alla parola del Signore che dà agli apostoli il potere di "scacciare i demoni" (*1) (Matteo, 10,8) la Chiesa Ortodossa Italiana autorizza i presbiteri appositamente autorizzati dal vescovo del luogo ad effettuare preghiere di benedizioni ed esorcismi al fine di scacciare una presunta presenza demoniaca o malefica da una persona, un animale o da un luogo.

Comma 2)Essendo la morte, la malattia ed il peccato in stretta connessione con l'esorcista, a richiesta recita una preghiera sacerdotale di benedizione diretta verso Dio per la guarigione-liberazione della persona che ne faccia richiesta con fede e umiltà.

Comma 3) Nei casi dove si sospetta che la persona oggetto di esorcismo sia un energumeno (persona posseduta) il sacerdote esorcista deve indagare sulla storia della persona, interrogando le persone a lui vicine ed i famigliari, e verificato che non è stata tralasciato alcuna cura messa a disposizione dalla scienza medica, su autorizzazione del vescovo del luogo e in un contesto liturgico, solitamente dopo i Vespri, l'esorcista, che deve indossare l'epitrachilion (o stola), cioè lo stesso abito liturgico con cui celebra l'esorcismo battesimale e ogni sacramento penitenziale, celebra davanti ad un leggio dove vengono esposti il Vangelo e la Croce effettua il rito dell'esorcismo sopra gli ossessi dai demoni e contro qualsiasi infermità secondo i rituali (di San Basilio, di San Giovanni Crisostomo, San Gregorio Nazianzeno, San Cipriano ecc.) approvati dalla Chiesa.

Note

*1) “Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date“ -Matteo 10,8

Il Corso si svolgerà in lezioni settimanali online tenute da fra Giovanni Maria Maddamma, padre Alfredo Catracchia e S.B. Filippo Ortenzi.

Al Corso che inizierà sabato 22 marzo alle ore 18 su piattaforma online, saranno ammessi soltanto le persone che ne avranno fatto domanda e avranno effettuato una donazione liberale  a favore della Chiesa Ortodossa Italiana di almeno € 150 sul conto corrente bancario intestato a Chiesa Ortodossa Italiana

IBAN: IT59H0200805218000103887904

Oggetto: Contributo Corso Esorcismo

Liberazione e Guarigione

A tutti coloro che si iscriveranno al corso verrà mandato il libro “Libera Nos Malo” (dal valore di € 50 + € 6 di spedizione) scritto da fra Giovanni Maria Maddamma dove sono riportate le preghiere di guarigione e i rituali di liberazione e di esorcismo.

Il Libro dei Riti di Guarigione e Liberazione è un testo liturgico e sacramentale di fondamentale importanza, destinato all’uso del Clero nelle preghiere e nei riti volti alla guarigione spirituale e alla liberazione dalle influenze maligne o oscure.

Questo testo sacro, approvato e benedetto dal Vescovo, costituisce una risorsa ufficiale e autorevole per coloro che operano nel ministero di liberazione e guarigione.

Al suo interno si trovano non solo preghiere specifiche, ma anche formule liturgiche precise e dettagliate istruzioni per l’esecuzione dei Riti di guarigione e liberazione in un’ampia varietà di contesti e circostanze.

Il Libro dei Riti è diviso in diverse sezioni, ciascuna delle quali affronta specifici tipi di situazioni spirituali e influenze negative.

Le preghiere e i rituali in esso contenuti non solo guidano i sacerdoti nel loro operato, ma forniscono an-che un supporto spirituale e pratico per le anime in difficoltà.

Le formule liturgiche presenti nel testo sono state accuratamente redatte per garantire che i riti siano eseguiti con la dovuta solennità e precisione, rispettando la tradizione ecclesiastica.

Verrà inoltre fornito ai partecipanti materiale in pdf e lezioni YouTube inerenti la materia.

Al termine del Corso i partecipanti riceveranno un Attestato da parte dell'Università Ortodossa San Giovanni Crisostomo e, se membri del clero, un Decreto di Esorcista.

Per adesione al Corso (che inizierà quando si raggiungerà un numero  minimo 15 partecipanti) scrivere a: 

unisangiov.crisostomo@gmail.com

oppure a: accademia.ortodossa@gmail.com  

Chiesa Ortodossa Italiana

Via Appia Nuova n. 612  – 00179 ROMA

telefono: +39 0621119875 – email: chiesaortodossaitaliana@gmail.com  C.F. 93053400045

martedì 25 febbraio 2025

Epiclesi: L'Invocazione dello Spirito Santo nella Liturgia




Epiclesi: L'Invocazione dello 
Spirito Santo nella Liturgia

Nel cristianesimo, il termine "epiclesi" si riferisce all'invocazione dello Spirito Santo durante la preghiera eucaristica, o anafora

Questa invocazione ha lo scopo di consacrare il pane e il vino, trasformandoli nel Corpo e nel Sangue di Cristo.

La parola "epiclesi" deriva dal greco "epikaleo", che significa "chiamare su" o "invocare". Nell'antica Grecia, il termine veniva usato per riferirsi all'invocazione degli dei. Nel contesto cristiano, l'epiclesi è un momento centrale della celebrazione eucaristica, in cui si chiede l'intervento divino dello Spirito Santo.

L'epiclesi si trova in diverse tradizioni cristiane, sia in Occidente che in Oriente, sebbene le forme e l'enfasi possano variare.

Nella liturgia della Chiesa Cattolica l'epiclesi si trova nella Preghiera eucaristica, dopo il racconto dell'Ultima Cena. Il sacerdote, con le mani tese sui doni del pane e del vino, invoca lo Spirito Santo affinché li trasformi nel Corpo e nel Sangue di Cristo.

Nelle liturgie delle Chiese Ortodosse l'epiclesi è un momento ancora più centrale. Si crede che sia l'invocazione dello Spirito Santo a compiere la transustanziazione, ovvero la trasformazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo. 

L'epiclesi sottolinea l'importanza dello Spirito Santo nella celebrazione eucaristica. È attraverso l'azione dello Spirito che il pane e il vino diventano il Corpo e il Sangue di Cristo, un mistero centrale della fede cristiana. L'epiclesi ci ricorda che l'Eucaristia non è solo un rito simbolico, ma un vero incontro con Cristo attraverso l'azione dello Spirito Santo.

L'epiclesi è un momento significativo nella liturgia cristiana, che ci invita a riflettere sul ruolo dello Spirito Santo nella nostra fede. È un'invocazione che ci ricorda che la presenza di Cristo nell'Eucaristia è un dono divino, reale e reso possibile dall'azione dello Spirito Santo.

Mons. Gianni De Paola 

sabato 21 dicembre 2024

Perché il 25 dicembre è una festa cristiana

  Perché il 25 dicembre è una festa cristiana 

Nei testi sacri la nascita di Gesù è riportata soltanto da due dei quattro Vangeli riconosciuti canonici dalla cristianità, e precisamente  dai Vangeli secondo Matteo e Luca, dove però non è presente la data precisa (giorno, mese ed anno). Nei primi secoli i cristiani festeggiavano solitamente la nascita in Cielo di Gesù (Pentecoste) più che quella terrena e la prima testimonianza della festa del Natale ricadente il 25 dicembre risale ad un antico almanacco del 354 d.C. (*1). Oggi, leggendo la stampa laica e, talvolta anche quella cattolica, sembre acquisita quale verità storica quella che la scelta del 25 dicembre sia dovuta alla cristianizzazione della popolare festa pagana del “Sole vittorioso” (Sol invictus), nella certezza che era più facile far cambiare religione ai cittadini dell’Impero mantenendo e cambiando nome alle feste che erano già abituati a celebrare. In tal senso il 25 dicembre, giorno del solstizio d’inverno (notte più lunga dell’anno, dopo la quale le ore di luce aumentano a scapito del buio). “Sempre in quel periodo i romani celebravano i saturnali per onorare Saturno, dio dell’agricoltura: si tratta di una festa in cui il Sole rinato era segno dell’approssimarsi della primavera portatrice di nuovi frutti, e per questo ci si scambiava ricchi doni tra amici e parenti.”.  Per la verità va evidenziato che il solstizio d’inverno cade il 21 e non il 25 dicembre, anche se  25 dicembre si festeggiava nelle varie località dell’Impero sia la festa di Mithra (divinità proto-indo-iranica del Sole, dell’amicizia, dell’onestà e dei contratti secondo la religione zoroastriana, ancora venerato nella religione induista in quanto presente nei Veda) che quella di Saturno, in quanto il calendario giuliano, fissato da Giulio Cesare il 45 a.C. faceva cadere la Bruma (Saturnalia) il 25 dicembre, giorno solstiziale che segnava la fine delle giornate più buie e dopo il quale, grazie alle divinità solari, la giornata iniziava ad allungarsi. Tale festa era stata proclamata dall' imperatore Aureliano nel 274, anno durante il quale in tale data  aveva fatto edificare un grandioso tempio in un tempo nel quale le comunità cristiane già festeggiavano da tempo il Natale il 25 dicembre e, semmai potrebbe essere che i pagani abbiano cercato di paganizzare una festa molto popolare tra le emergenti comunità cristiane.  Verso il 350 d.C. il vescovo di Roma,  Papa  Giulio I, dichiarò il 25 dicembre quale anniversario della nascita di Gesù e tale data fu accolta da tutto il mondo cristiano (ad eccezione degli Armeni che la festeggiano il 6 gennaio, quando noi festeggiamo l’Epifania). Secondo un’opinione diffusa e attualmente considerata attendibile, Papa Giulio I, al fine di dare continuità ad un’antica tradizione e continuità tra le vecchie e la nuova religione, trasformò il Dies Natalis Soli Invictis dei pagani, festa dedicata alla nascita del Sole (Mithra), introdotta a Roma da Eliogabalo, imperatore dal 218 al 222, (per non parlare del dio sole Aîon, figlio della vergine Kore, del dio siriano El-Gabal, del dio greco Elios etc. i cui culti erano diffusi nell’Impero, in Persia ed Arabia o ai culti solari delle popolazioni germaniche dell’Europa del Nord dove sostituì la Festa della Yule, che si festeggiava il 21 dicembre) nel Natale cristiano, dal momento che Gesù rappresenta la vera luce. D’altra parte nelle Sacre Scritture non è forse scritto che  "Sorgerà per voi il Sole di giustizia" (Malachia, 14, 2) e nel vangelo di Luca (1,79 s.) non è forse scritto: "Grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace"?  E lo stesso Gesù non aveva affermato:«Io sono venuto come luce nel mondo, affinché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre» (Giovanni 12, 46) e non rappresentava pertanto la vittoria della Luce sulle tenebre? Nel 529 l’imperatore Giustiniano I (santo e isapostolo per le Chiese Ortodosse) la rese festa ufficiale dell’Impero e, da allora, viene universalmente celebrata dalla cristianità.  Pertanto, a detta dei sapientoni laici (e purtroppo anche da molti ignoranti del clero cristiano) la scelta di festeggiare il Natale il 25 dicembre era una scelta unicamente simbolica atta a favorire la conversione dei pagani i quali avrebbero potuto continuare a festeggiare in tale data anche dopo essere diventati cristiani. Date opinione è talmente diffusa che numerose chiese evangeliche pentecostali e i Testimoni di Geova si rifiutano di festeggiare il Natale considerandolo una festa pagana. 

Che anche tale tesi abbia dei fondamenti di verità può essere confermata dal fatto che nel 1941 nella necropoli vaticana fu liberato un mosaico raffigurante Cristo-Sole che ascende al cielo su una quadriga di cavalli bianchi in mezzo ad un lussureggiante intreccio di rami di vite. 

La tesi per la quale la Chiesa di Roma avesse scelto la data del  25 dicembre per opporre la festa di Gesù, vera luce del mondo, alla festa pagana del Natalis solis invicti è, purtroppo, diventata un luogo comune. Già nel settecento il predicatore tedesco, pedagogista, archeologo e teologo berlinese Paul Ernst Jablonski, membro dell’Accademia Reale delle Scienze di Berlino, autore delle Institutiones historie christianae antiquioris (Francoforte sul Reno, 1754), nella sua critica protestante anti-papista, sostenne la tesi che la “cristianizzazione” delle feste pagane, tra le quali il Natale, fosse la testimonianza più evidente della “degenerazione” della Chiesa di Roma. La cosa assurda è che per confutare tale tesi alcuni teologi cattolici come il benedettino Dom Jean Harduin invece di confutare tale tesi le hanno giustificate adducendo motivi pastorali e di apostolato tanto che oggi viene condivisa  anche dalla maggioranza dei teologi cattolici, come si evince in un articolo pubblicato su Famiglia Cristiana del 26 dicembre 2019 a firma del teologo Robert Cheaib. Tale convinzione è così radicata che Papa Giovanni Paolo II (santo per la Chiesa Cattolica), durante l’udienza di preparazione al Natale del 1993 ebbe a dire che:  “La data del 25 dicembre, com’è noto, è convenzionale


Ma è davvero così? 


Ma vediamo le origini cristiane del 25 dicembre.

 

Teoria di correlazione con la Hanukkah. Altra teoria uscita recentemente è quella sostenuta da alcuni studiosi, tra i quali Joseph F. Kelly, autore del libro The Origins of Christmas, la data del 25 dicembre potrebbe essere posta in relazione con la festa ebraica della Ridedicazione del Tempio, la Hanukkah, che cade il venticinquesimo giorno di Kislev, un mese lunare che corrisponde approssimativamente a novembre o dicembre, tese suggestiva ma che forse non c’entra nulla con la data natalizia, perché durava otto giorni e non sempre tra questi vi era il 25 dicembre.

Prima dello studio del calendario qumranico, avvenuto in tempi recenti, il motivo per il quale la nascita di Gesù veniva fatta ricadere il 25 dicembre era un altro ed era legata alla data della morte di Gesù che, secondo i Vangeli, si collocava tra il 25 marzo e il 6 aprile del calendario giuliano. 


Teoria dell’Età Integrale, correlata alla creazione. Il 25 marzo gli ebrei festeggiano la benedizione della luce (o del Sole) nota come Birkat Hachama. Secondo una tradizione rabbinica il Sole fu creato nella sua posizione nel giorno dell’equinozio di primavera (primo giorno del calendario iranico detto Novruz Noruz ossia giorno nuovo, da inizio al calendario zoroastriano, a quello  Jalāl o calendario persiano, a quello Badí‘ della religione bahai). Tale tasi è stata sostenuta nel X secolo dal rabbino aschenazita francese Rav Shlomo Yitzaqui (Rashi), conosciuto in Italia anche come Salomone Isaccide, in un Commentario sul Talmud, che ha avuto grande diffusione nel mondo ebraico. Si può ipotizzare che Gesù, vera luce del mondo, sia stato concepito nel giorno della Benedizione della Luce e, di conseguenza, è nato il 25 dicembre.

Un inciso, nei primi secoli d’adozione del calendario giuliano, elaborato dall’astronomo egizio Sosicide di Alessandria e promulgato da Caio Giulio Cesare Pontifex Maximus dell’Impero nel 46 a.C., l’equinozio di primavera e il solstizio d’inverno ricadevano nei giorni 25 marzo e 25 dicembre e, soltanto successivamente, sono stati indicati al 21 di detti mesi.

 

Teoria coincidenza morte/concepimento. Era opinione diffusa, che riprendeva delle credenze nate in ambiente ebraico riguardo la morte dei Profeti biblici, che la morte di Nostro Signore fosse avvenuta nell’anniversario della sua “venuta al mondo”. Innanzitutto occorre precisare che in ambito ebraico è presente una scienza teologica (oggi considerata pseudoscienza, cioè una disciplina apparentemente basata su metodo scientifico ma priva di fondamento reale) denominata gematria, fondata sulla numerologia, dove vengono collegati parole dell’alfabeto e  numeri. simbolici La gematria fu riscoperta in Italia e in occidente nel XVII secolo dall’erudito fiorentino Pico della Mirandola (1463-1494) durante la stagione dell’Umanesimo (*2 ter). Ad esempio, secondo la gematria  il nome di Gesù in greco è 888 o (8 + 8 + 8 =6) 8= Figlio di Dio, 6= Figlio dell’Uomo, perché 6 è il numero dell’uomo. (*2 quater).  Uno studio approfondito su queste teorie si deve all’accademico francese Louis Marie Olivier Duchesne (13 settembre 1843 - 21 aprile 1922) sacerdote cattolico, filologo, archeologo, studioso, autore del libro Origines du culte chrétien ("Origini del culto cristiano"), legato alla nostra Nazione (è morto a Roma), appassionato di ortodossia (è stato anche sul Monte Athos) e caduto in disgrazia durante la fine della sua esistenza terrena perché la Chiesa Cattolica mise all’indice la sua  la sua Histoire ancienne de l'Église ("Storia antica della Chiesa") dove venivano svelate verità nascoste dalla Chiesa di Roma. Ebbene secondo questa ipotesi, per la festività del Natale si calcolò che Gesù fosse morto nell'anniversario della sua incarnazione o concezione (non della sua nascita), e così si pensò che la sua data di nascita dovesse cadere nove mesi dopo la data del Venerdì Santo. tra il 25 dicembre e il 6 gennaio. (*2 cinque).  Per lo scrittore e apologeta cristiano romano-cartaginese Quinto Settimio Fiorente Tertulliano (155-230 d.C.), era avvenuta l’ottavo giorno delle calende d’aprile, corrispondente al 25 marzo. Il calcolo di Tertulliano si basava sicuramente  anche su valutazioni basate sul simbolismo e la gematria, legate all’equinozio di primavera del calendario romano  e  alla ipotetica data della creazione del mondo, seguendo tali ragionamenti  l'ipotesi che la vita di Gesù sia stata di un numero intero di anni, dato che le frazioni possono essere considerate imperfette, ne deriverebbe, secondo lo studioso, che l'incarnazione sia avvenuta  il 25 marzo, e la nascita al 25 dicembre. A mio parere la teoria di Duchesse è storicamente attendibile, perché era opinione diffusa tra le chiese cristiane dell’epoca, soprattutto in  quelle di Roma ed Alessandria; che il 25 marzo fosse contemporaneamente il giorno della morte e dell’incarnazione di Gesù la logica conseguenza era che il giorno della nascita sarebbe stato sicuramente il 25 dicembre. Eppoi morte e passione di Gesù e nascita sarebbero coincise con l’equinozio di primavera e il solstizio d’inverno, questa coincidenza alla quale credevano soprattutto i cristiani d’Africa oggi è reputata poco attendibile perché l’equinozio di primavera ricade il 21 e non il 25 marzo e il solstizio d’inverno il 21 e non il 25 dicembre, ma forse in epoca apostolica i calcoli del tempo erano diversi e non coincidevano perfettamente con quelli odierni. 


Origine antica. Che i cristiani dei primi secoli festeggiassero il Natale il 25 dicembre c’è traccia nello scritto Commentario su Daniele, del teologo Ippolito di Roma del 204, ne parla Evodio (secondo vescovo della Chiesa di Antiochia), in una epistola in parte riportata da Niceforo Callisto nella sua Storia ecclesiastica, II, dello pseudo-Giovanni Crisostomo (III secolo), nella Historia Ecclesiae Christi scritta da Ippolito. vescovo di Cesarea Marittima, dello storico siro Giovanni Malalas, etc., nonché nel Depositio Martyrum” del 336 e  nel Chronographus del 354 redatto dal letterato romano Furio Dionisio Filocalo, i quali affermano che Gesù nacque l’ottavo giorno delle calende di gennaio e  visto che nell’uso latino si contavano il primo e l’ultimo elemento di una serie, l’ottavo giorno prima del 1° gennaio era proprio il 25 dicembre.  La data di questa festa ebbe enorme successo in Occidente, anche grazie all’opera di San Leone Magno, papa di Roma (440-461 d.C.), mentre in Oriente era più popolare ricordare la nascita del Salvatore il 6 gennaio, giorno della Teofania o manifestazione della divinità di Gesù al Mondo, rappresentato dai Magi, sacerdoti, sapienti, astrologi e indovini dell’antica religione zoroastriana. Dalla Cathopedia, o Enciclopedia Cattolica (Catholic Encyclopédie voce Christmas) ad esempio,  sappiamo che il filosofo, teologo, scrittore e apologeta cristiano del II secolo Tito Flavio Clemente (più noto come san Clemente Alessandrino) sosteneva che in Egitto i seguaci della scuola gnostica di Basilides, celebravano la nascita di Gesù, unitamente all’Epifania l’11 del mese di Tybi (6 gennaio).


Tesi evangeliche: In Oriente dove Teofania (manifestazione della divinità di Gesù ai Magi) e Natalità si tendeva a farli coincidere il 6 gennaio, la separazione venne definitivamente accolta, seppure dopo una lunga resistenza,  nel 386 d.C. grazie all’opera di san Giovanni Crisostomo (alla quale è dedicata la nostra Università teologica), per il quale l’osservanza del Natale in detta data non soltanto in Occidente, ma anche in Africa, Tracia e buona parte dell’Asia romana e la sua rapida diffusione era un segno evidente della sua genuinità. San Giovanni Crisostomo si appassionò talmente all’origine cristiana del 25 dicembre che fece degli studi sui vangeli, dai quali si può dedurre che Zaccariapadre di Giovanni Battista, sacerdotale della classe di Abijah, che secondo le Antichità Giudaiche dello scrittore ebraico-romano Flavio Giuseppe (Yosef ben Matityhu), era l'ottava delle 24 classi sacerdotali nel turno di servizio al tempio di Gerusalemme, ricevette l’annuncio del concepimento di Giovanni Battista (ultimo profeta, precursore e cugino di Gesù) a settembre,  poiché il vangelo data il concepimento di Gesù dopo sei mesi, ovvero a marzo, la nascita sarebbe avvenuta sicuramente entro dicembre. Anche Papa Giulio I, in base ai calcoli edotti e dal vangelo e dai turni sacerdotali di Zaccaria edotti dagli scritti di Flavio Giuseppe, giunse alle stesse considerazioni. Ricerche archeologiche del secolo scorso dimostrano la validità storica di tale tesi.

Teoria qumranica (che conferma quella evangelica): secondo il vangelo di Luca (Lc 1,5-13) Zaccaria, era un sacerdote della classe Abijah che esercitava le sue funzioni nel tempio quando l’arcangelo Gabriele gli annunciò la nascita del figlio Giovanni  (il profeta Giovanni Battista, il precursore). Secondo tale calendario i turni per il servizio nel tempio della famiglia di Abidjan capitavano due volte l’anno: dall’8 al 14 del terzo mese e dal 24 al trenta dell’ottavo mese. La tradizione orientale che fa risalire la nascita di Giovanni il 24 giugno, pone la data del servizio al tempio di Zaccaria nel secondo turno: 24-30 dell'8° mese. A sua volta Luca data l'annunciazione dell'angelo a Maria nel 6° mese successivo al concepimento di Giovanni (Luca, 1, 26). Le liturgie orientali ed occidentali concordano nel determinare questa data con il 31 del mese di Adar, corrispondente al nostro 25 marzo. Infatti in questa data la Chiesa celebra ancora l'annuncio dell'angelo ed il concepimento di Gesù. Di riflesso la data della nascita doveva essere posta 9 mesi dopo, appunto il 25 dicembre. Tale data è conforme anche agli scritti di  Shemarjahu Talmon, dell'Università Ebraica di Gerusalemme, ha ricostruito le turnazioni sacerdotali degli ebrei e le ha applicato al calendario gregoriano sulla base dello studio del Libro dei Giubilei scoperto a Qumran. In questa maniera, ha stabilito che la data di nascita di Gesù potrebbe essere il 25 dicembre. Si fa presente che il succitato Shemarjahu Talmon, non è cristiano, ma un professore dell’Università di Gerusalemme di religione ebraica che ha calcolato l'esatto ordine cronologico di servizio al Tempio delle classi sacerdotali basandosi sui rotoli di Qumran e da tali calcoli ha evidenziato la convergenza dei dati qumranici con quelli evangelici, dove  le date della nascita di Giovanni Battista e Gesù coincidono con quelle della tradizione cristiana e, il fatto che tali conteggi siano stati fatti da un non cristiano assume una rilevanza oggettiva e imparziale.



 Lo storico Michele Loconsole, sull’Occidentale del 25 dicembre 2009, sostiene non soltanto che la Chiesa di Gerusalemme (la Chiesa Madre della cristianità) festeggiava il 25 dicembre già nei primissimi anni successivi alla sua morte e che tale usanza sia riconducibile alla cerchia dei familiari e dei primitivi discepoli del Signore, ma che che si siano anche delle prove documentali che confermano tale asserzione. Per suffragare la sua tesi ricorda come nel 1947 un pastorello palestinese trovò casualmente in una grotta del deserto di Qumran, vicino il Mar Morto,  una giara piena di rotoli, probabilmente nascosta dagli esseni (membri di una comunità monastica ebraica) nel 70 d.C. per non farli cadere in mano dell’occupante romano. Moltre altre giare e rotoli furono trovati successivamente nella medesima località. Tra i rotoli ritrovati vi è anche il Libro dei Giubilei, dove sono riportate le date in cui le classi sacerdotali officiavano al Tempio di Gerusalemme, da questa si evince che essendo Zaccaria della classe sacerdotale di Abijah (o Abia), sarebbe entrato a celebrare nel Tempio il 23 settembre, dove l’Arcangelo Gabriele gli avrebbe comunicato che sua moglie Elisabetta, ritenuta sterile, avrebbe avuto un figlio di nome Giovanni, vedi Vangelo secondo Luca (Lc 1:1-25 - Zaccaria e l'Angelo). Da ciò si deduce che san Giovanni Battista, il Precursore, sarebbe nato dopo nove mesi (il 24 giugno). Lo stesso vangelo di Luca ci informa  che quando Maria si reca a trovare la cugina Elisabetta, dopo l’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele (Lc 1, 26-38), questa era al sesto mese di gravidanza  (24/25 marzo) e, di conseguenza, se Gesù è stato concepito il 25 marzo (che secondo il calendario giuliano dell’epoca, come abbiamo affermato precedentemente, coincideva con l’equinozio di primavera) la nascita di Gesù sarebbe avvenuta il 25 dicembre. 

Da quanto esposto si evince che la tesi dell’origine pagana del Natale, come quella dell’Albero di Natale oggetto di un mio precedente studio, non soltanto è superata ma è completamente falsa..



Sua Beatitudine Filippo Ortenzi

Arcivescovo Metropolita della Chiesa Ortodossa Italiana


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