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sabato 15 febbraio 2020

Parabola del Seminatore

Parabola del Seminatore
Icona del Cristo seminatore

La Parabola del Seminatore è una delle più note parabole di Gesù, in quanto presente su ben tre dei quattro Vangeli canonici, e nello specifico nei vangeli sinottici di Matteo (13,1-9 e 18-33) - Marco (4-1-20)  Luca (8,5-15). E' indirettamente citata dall'Apostolo Paolo nella lettera ai Corinti (1 Corinti 3,9-11) nonché in un Vangelo apocrifo, quello di Tommaso (Tommaso,9). In quest'ultimo la parabola è espressa in modo più sintetico:

Vangelo Tommaso,9
9. Gesù disse, “Vedete, il seminatore uscì, prese una manciata e seminò. Alcuni semi caddero sulla strada, e gli uccelli vennero a raccoglierli. Altri caddero sulla pietra, e non misero radici e non produssero spighe. Altri caddero sulle spine, e i semi soffocarono e furono mangiati dai vermi. E altri caddero sulla terra buona, e produssero un buon raccolto, che diede il sessanta per uno e il centoventi per uno.”

In fondo pubblicheremo per esteso quanto scritto nei Vangeli ed anche da San Paolo che, pur non citando la parabola ad essa esplicitamente, a nostro modesto parere, si ricollega nella prima lettera ai Corinti. Evito comunque di fare un'esegesi della stessa in quanto credo che, in modo esaustivo, la stessa sia stata fatta dal nostro Padre tra i Santi, Giovanni Crisostomo al quale è stata intitolata la nostra piccola realtà accademica.

dott. prof. mons. Filippo Ortenzi

 Rettore Università  Ortodossa San Giovanni Crisostomo
tel. +39 0621119875b – cell. +39 3917065512

Omelia di San Giovanni Crisostomo 
sulla parabola del Seminatore

Nella parabola del seminatore, il Cristo ci mostra che la sua parola si rivolge a tutti indistintamente. Come, infatti, il seminatore (del Vangelo) non fa distinzione tra i terreni, ma semina in tutte le direzioni, così il Signore non distingue tra il ricco e il povero, il saggio e lo sciocco, il negligente e l'impegnato, il coraggioso e il pavido, ma si indirizza a tutti e, nonostante che egli conosca l'avvenire, da parte sua pone in opera tutto, sì da poter dire: Che avrei dovuto far di più, non l'ho fatto? (Is. 5, 4).
Il Signore racconta questa parabola per incoraggiare i suoi discepoli ed educarli a non lasciarsi deprimere, anche se coloro che accolgono la Parola sono meno numerosi di quelli che la sperperano. Così avveniva per il Maestro stesso che, nonostante la sua conoscenza del futuro, non desisteva dallo sparger la semente. Ma, si dirà, perché mai buttarla tra i rovi, tra le pietre o sulla strada? Se si trattasse di una semente e d'un terreno materiali, sarebbe insensato; ma allorché si tratta di anime e della dottrina, l'operato è degno di approvazione. Giustamente si riprenderebbe il coltivatore che si comportasse in tal modo: la pietra non saprebbe farsi terra, la strada non può esser che strada e le spine, spine. Ma nella sfera spirituale non avviene lo stesso: la pietra può divenir terra fertile, la strada può non esser più calpestata dai passanti e divenir campo fecondo, le spine possono esser divelte per consentire al seme di germogliare senza ostacoli. Se ciò non fosse possibile, il seminatore non avrebbe sparso la semente come ha fatto. Se la trasformazione benefica non si è sempre avverata, ciò non dipende dal seminatore, ma da coloro che non hanno voluto esser trasformati. Il seminato re ha adempiuto il suo dovere, ma se si è sprecato ciò ch'egli ha dato, il responsabile non è certo l'autore di tanto beneficio...
Non prendiamocela pertanto con le cose in sé, ma con la corruzione della nostra volontà. Si può esser ricchi e non lasciarsi sedurre dalle ricchezze, viver nel secolo e non lasciarsi soffocare dagli affanni. Il Signore non vuoi gettarci nella disperazione, bensì offrirci una speranza di conversione e dimostrarci che è possibile passare dalle condizioni precedenti a quella della buona terra.
Ma se la terra è buona, se il seminatore è il medesimo, se le sementi sono le stesse, perché uno ha dato cento, un altro sessanta e un altro trenta? La qualità del terreno è il principio della differenza. Non è né il coltivatore né la semente, bensì la terra in cui è accolta. Conseguentemente, la responsabile è la nostra volontà, non la nostra natura. Quanto immenso è l'amore di Dio per gli uomini! Invece di esigere identica misura di virtù, egli accoglie i primi, non respinge i secondi e offre un posto ai terzi. Il Signore dà questo esempio per evitare a coloro che lo seguono di creder che, per essere salvi, basti ascoltare le sue parole... No, ciò non è sufficiente per la nostra salvezza Bisogna anzitutto ascoltare con attenzione la parola e custodirla fedelmente nella memoria. Quindi occorre alienarsi con coraggio per metterla in pratica.

San Giovanni Crisostomo


Dai Vangeli sinottici

Matteo 13,1-9

il seminatore e i diversi terreni
1 In quel giorno Gesù, uscito di casa, si mise a sedere presso il mare; 2 e una grande folla si radunò intorno a lui; cosicché egli, salito su una barca, vi sedette; e tutta la folla stava sulla riva. 3 Egli insegnò loro molte cose in parabole, dicendo:«Il seminatore uscì a seminare. 4 Mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada; gli uccelli vennero e la mangiarono. 5 Un'altra cadde in luoghi rocciosi dove non aveva molta terra; e subito spuntò, perché non aveva terreno profondo; 6 ma, levatosi il sole, fu bruciata; e, non avendo radice, inaridì. 7 Un'altra cadde tra le spine; e le spine crebbero e la soffocarono. 8 Un'altra cadde nella buona terra e portò frutto, dando il cento, il sessanta, il trenta per uno. 9 Chi ha orecchi oda».
Matteo 13,18-23
Spiegazione della parabola del seminatore
18 «Voi dunque ascoltate che cosa significhi la parabola del seminatore! 19 Tutte le volte che uno ode la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e porta via quello che è stato seminato nel cuore di lui: questi è colui che ha ricevuto il seme lungo la strada. 20 Quello che ha ricevuto il seme in luoghi rocciosi, è colui che ode la parola e subito la riceve con gioia, 21 però non ha radice in sé ed è di corta durata; e quando giunge la tribolazione o persecuzione a motivo della parola, è subito sviato. 22 Quello che ha ricevuto il seme tra le spine è colui che ode la parola; poi gli impegni mondani e l'inganno delle ricchezze soffocano la parola che rimane infruttuosa. 23 Ma quello che ha ricevuto il seme in terra buona è colui che ode la parola e la comprende; egli porta del frutto e, così, l'uno rende il cento, l'altro il sessanta e l'altro il trenta».

 Marco 4,1-20

Parabola del seminatore
1 Poi prese di nuovo ad insegnare in riva al mare; e una gran folla si radunò intorno a lui, tanto che egli, salito su una barca, vi sedeva stando in mare, mentre l'intera folla era a terra lungo la riva. 2 Ed egli insegnava loro molte cose in parabole, e diceva loro nel suo insegnamento: 3 «Ascoltate! Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4 Or avvenne che mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada e gli uccelli del cielo vennero e la mangiarono. 5 Un'altra cadde in luoghi rocciosi dove non c'era molta terra e subito spuntò, perché non c'era un terreno profondo. 6 Ma quando si levò il sole fu riarsa; e poiché non aveva radice si seccò. 7 Un'altra cadde tra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non diede frutto. 8 Un'altra cadde in buona terra e portò frutto che crebbe, e si sviluppò tanto da rendere l'uno trenta, l'altro sessanta e l'altro cento». 9 Poi egli disse loro: «Chi ha orecchi da udire, oda!». 10 Ora, quando egli fu solo, coloro che gli stavano attorno con i dodici lo interrogarono sulla parabola. 11 Ed egli disse loro: «A voi è dato di conoscere il mistero del regno di Dio; ma a coloro che sono di fuori tutte queste cose si propongono in parabole, 12 affinché: "Vedendo, vedano ma non intendano; udendo, odano ma non comprendano, che talora non si convertano e i peccati non siano loro perdonati"». 13 Poi disse loro: «Non comprendete questa parabola? E come comprenderete tutte le altre parabole? 14 Il seminatore è colui che semina la parola. 15 Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la parola; ma dopo che l'hanno udita, subito viene Satana e porta via la parola seminata nei loro cuori. 16 Parimenti quelli che ricevono il seme su un suolo roccioso sono coloro che, quando hanno udita la parola, subito la ricevono con gioia; 17 ma non hanno in sé radice e sono di corta durata; e, quando sopravviene la tribolazione o la persecuzione a causa della parola, sono subito scandalizzati. 18 Quelli invece che ricevono il seme fra le spine, sono coloro che odono la parola; 19 ma le sollecitudini di questo mondo, l'inganno delle ricchezze e le cupidigie delle altre cose, che sopravvengono, soffocano la parola e questa rimane infruttuosa. 20 Ma quelli che hanno ricevuto il seme in buon terreno, sono coloro che odono la parola, la ricevono e portano frutto, chi il trenta, chi il sessanta e chi il cento».

 

Luca 8,5-15

5 «Il seminatore uscì a seminare la sua semenza; e, mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada: fu calpestato e gli uccelli del cielo lo mangiarono. 6 Un'altra cadde sulla roccia: appena fu germogliato seccò, perché non aveva umidità. 7 Un'altra cadde in mezzo alle spine: le spine, crescendo insieme con esso, lo soffocarono. 8 Un'altra parte cadde in un buon terreno: quando fu germogliato, produsse il cento per uno». Dicendo queste cose, esclamava: «Chi ha orecchi per udire oda!»9 I suoi discepoli gli domandarono che cosa volesse dire questa parabola. 10 Ed egli disse: «A voi è dato di conoscere i misteri del regno di Dio; ma agli altri se ne parla in parabole, affinché vedendo non vedano, e udendo non comprendano. 11 Or questo è il significato della parabola: il seme è la parola di Dio. 12 Quelli lungo la strada sono coloro che ascoltano, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dal loro cuore, affinché non credano e non siano salvati. 13 Quelli sulla roccia sono coloro i quali, quando ascoltano la parola, la ricevono con gioia; ma costoro non hanno radice, credono per un certo tempo ma, quando viene la prova, si tirano indietro. 14 Quello che è caduto tra le spine sono coloro che ascoltano, ma se ne vanno e restano soffocati dalle preoccupazioni, dalle ricchezze e dai piaceri della vita, e non arrivano a maturità. 15 E quello che è caduto in un buon terreno sono coloro i quali, dopo aver udito la parola, la ritengono in un cuore onesto e buono, e portano frutto con perseveranza.

Dalle lettere di San Paolo Apostolo

1 Corinzi 3:9-11 


Noi siamo infatti collaboratori di Dio; voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio.
10 Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come savio architetto io ho posto il fondamento, ed altri vi costruisce sopra; ora ciascuno stia attento come vi costruisce sopra
11 perché nessuno può porre altro fondamento diverso da quello che è stato posto, cioè Gesú Cristo.


venerdì 14 febbraio 2020

Corso di Diritto Canonico


Corso di
Diritto Canonico

La nostra Chiesa ha organizzato un corso di Diritto Canonico riservato ai membri del clero, sia maggiore: sacerdoti e diaconi, che  minore: lettori, accoliti, cantori, ipodiaconi della Chiesa Ortodossa Italiana, compreso quello  proveniente da altre giurisdizioni ecclesiali (cattoliche, vetero-cattoliche, evangeliche od altre) che desiderano aderire alla nostra giurisdizione canonica.
Eccezionalmente il corso è aperto anche a laici laureati in materie giuridiche (Giurisprudenza, Scienze Giuridiche ecc.) che vogliono approfondire la dottrina ortodossa in materia matrimoniale, postulazione dei Santi ecc. per poter operare presso i Tribunali Diocesani e il Tribunale Nazionale Ecclesiastico della nostra Chiesa.
Si premette che detto corso non da alcun titolo di studio riconosciuto dal Miur ma ha unicamente valore interno alla Chiesa e permette di ottenere una attestazione di Patrono Giudiziale presso i nostri Tribunali Ecclesiastici e di postulatore per le cause di glorificazione dei Santi.
Alla fine del corso verrà rilasciato:
-         Attestato di Patrono Giudiziale presso i Tribunali Ecclesiastici della nostra Chiesa.
-         Diploma di partecipazione al Corso di Diritto Canonico della Chiesa Ortodossa Italiana.
Chi lo vorrà inoltre potrà essere ordinato Lettore (ordine minore del Clero che permette nella Divine Liturgie di effettuare la Letture dell’Apostolos e collabora con la parrocchia quale catechista)






Requisiti per accedere al Corso
di Diritto Canonico

A questi si aggiunge:
-         Avere un’età di almeno 25 anni;
-         Avere almeno un Diploma di Laurea  oppure una ordinazione a Ipodiacono o Lettore; o essere  stato ordinato Diacono, Lettore o Ipodiacono presso altre giurisdizioni ecclesiali;
-         sia uomo di fede, buoni costumi, pietà, zelo per le anime, saggezza, prudenza e virtù umane, e inoltre dotato di tutte le altre qualità che lo rendono adatto a compiere l'ufficio in questione;
-         sia irreprensibile e goda di buona reputazione;
-         se sposato sia un buon marito e padre di famiglia, con figli credenti e che non possono essere accusati di dissolutezza o siano insubordinati;

Abbia effettuato un contributo volontario a favore della Chiesa Ortodossa Italiana sul Conto Corrente Bancario:
UNICREDIT BANCA - C.C.B. 103887904
intestato a  Chiesa Ortodossa Italiana

IBAN:  IT59H0200805218000103887904
Oggetto: Contributo Corso Diritto Canonico.
le persone che non hanno reddito o sono in difficoltà economiche offrano quello che possono.
Il contributo è richiesto per  permetterci di stampare il materiale didattico ed i libri per la liturgia da fornire ai partecipanti al corso.


Accademia Ortodossa San Nicodemo l’Aghiorita
Ente di Formazione Teologica previsto dal Canone n. 41 del Codex Canonum della Chiesa Ortodossa Italiana - C.F. 93053400045Tel. +39 3917065512  
Email: accademia.ortodossa@gmail.com

sabato 4 gennaio 2020

Importanti riconoscimenti accademici al prof. Giovanni Brandi Cordasco Salmera barone di San Quirico

Importanti riconoscimenti accademici al prof. 
Giovanni Brandi Cordasco Salmera 
barone di San Quirico



Il Rettore
VISTO                   lo Statuto dell’Università Ortodossa San Giovanni Crisostomo
SENTITO              il Segretario Generale dell’Ateneo
VISTO                   il curriculum vitae del prof.dott. Giovanni Brandi Cordasco Salmera di San
                          Quirico

Per quanto nelle premesse citato:

Riconosce al
prof. avv.  dott. Giovanni Brandi Cordasco Salmera di San Quirico
nato a Francavilla Marittima (CS) il  26 novembre 1968
uno speciale riconoscimento quale    Storico e Giurista Eccellente.
Si trascrive qui pedissequamente uno scorcio della motivazione: “noto Docente del più antico diritto del Mediterraneo in Urbino, Catanzaro, Albania, Pistoia e Svizzera, dove conferma esperienze internazionali che lo hanno visto nelle più prestigiose Accademie del mondo, rivolge la sua vasta attività di ricerca al significato storico e sociale del diritto nella sua continua aderenza alla realtà quotidiana ed alla prassi, muovendovi dalle più remote civiltà; così ha fatto durante la lectio magistralis (I giardini di Ninive: Legge e limite alle radici del più antico pensiero giuridico) tenuta presso le nostre Università di San Giovanni Crisostomo e di San Nicodemo L’Agiorita il 28 settembre di questo stesso anno, quando con spunti di indagine acuti e stimolanti ha riflettuto sulla natura primigenia di talune forme giuridiche maturate, con caratteristiche sostanzialmente identiche, nella Caldea e nell’Assiria anche in rapporto ai noti fattori metagiuridici che hanno investito il bacino del Tigri e dell’Eufrate tanto caro alla nostra Chiesa Ortodossa Italiana”.
Il prof. Giovanni Brandi Cordasco Salmera di San Quirico viene altresì cooptato nel Senato Accademico  della nostra Università.
Il Rettore          (mons. Dott. Prof. Filippo Ortenzi)

giovedì 2 gennaio 2020

Il “Padre Nostro”: le particolarità nell’ortodossia

Il “Padre Nostro”: le particolarità nell’ortodossia



Accade assai spesso che fedeli, esperti e studiosi di liturgia ci pongano la delicata questione delle specificità, nelle tradizioni ortodosse, che caratterizzano la recitazione del “Padre Nostro”, preghiera essenziale nella storia del Cristianesimo, sia d’Occidente che d’Oriente, presente già nel II - III secolo nella forma aramaica (con la denominazione “Abùn”, padre, tratta dai versi iniziali “Abùn D - bah - Smaja”, “Padre che sei nei cieli”) e transitato in forma molto simile nella forma ebraica (Abun, “Padre”), poi in quella greca (con la denominazione “Kiriake Proseukè”: preghiera del Signore) e poi nella traduzione latina della “Vulgata” di San Gerolamo, che inizia a diffondersi dal IV secolo (quando la preghiera assume la denominazione di “Oratio Dominica”).
Anche se non mancano, in Italia, parrocchie e gruppi di fedeli ortodossi che recitano ormai il Padre Nostro in forma uguale a quella consolidatasi nel rito cattolico romano che tutti conoscono - prassi non sempre condivisibile - giova ricordare a coloro che intendono invece approfondire le differenze che nel mondo ortodosso sono maggiormente diffuse e salvaguardare le identità della formulazione orientale, le tre principali differenze nel testo liturgico da recitare, precisando che le prime due sono meno seguite, specialmente nel nostro Paese, mentre la terza è più rispettata, anche nelle parrocchie di tradizione russa e rumena.
1.Il pane “quotidiano”
Nella tradizione ortodossa, è assai diffusa e sarebbe senz’altro sempre preferibile la forma “Dacci oggi il nostro pane soprasostanziale” o “necessario”. Tale espressione traduce, in modo molto più appropriato, la formulazione greca “Tòn àrton hemòn tòn epiùsion dòs hemìn sémeron” (dove “epiùsion” è tradotto in latino dalla Vulgata “ supersubstantialem”). Ricordiamo che la radice ”ousian” (qui col prefisso “epì”, sopra) è di particolare importanza nella filosofia, nella teologia e nell’esegesi, identificando l’ “ousia” la sostanza, l’essenza profonda, ciò che è in sè sussistente.

2.“Non ci indurre in tentazione”
La formulazione venuta cristalizzandosi nella tradizione latina appare poco rispondente all’originaria stesura greca, in cui il verso completo è: “kài mé eisenènkes hemàs eis peirasmòn (presente in Matteo 6,13 e Luca 11,4, e discutibilmente tradotta nel latino “ne nos inducas in tentationem”). Il verbo utilizzato eisphérein significa letteralmente “portare / condurre verso “, diverso e meno “forte” di "inducere" (il vero “calco” latino - come nota il prof. R. Uglione, che sul versetto in questione ha condotto encomiabili approfondimenti filologici, sarebbe difatti "inferre") della Vulgata (per la verità "inducere" non si deve alla traduzione di S. Girolamo ma è già ampiamente attestato nelle versioni Veteres Latinae pregeronimiane, come il cod. Bobbiensis e il cod. Colbertinus) ad attenuare il significato del versetto meglio traducendo, come spesso fanno le tradizioni ortodosse, con formule come “non permettere che noi siamo indotti in tentazione”. Ricordiamo che il testo nell’aramaico originario era w-là, “e non”, tà-làn, “portarci, portare noi”, l - nesjuhnàh “in tentazione”). Persino sant’Ambrogio (già nel 370-380!) insegnava ai catecumeni “et ne nos patiaris induci in temptationem” (“e non tollerare che siamo indotti in tentazione” - Trattato De Sacramentis V 4,18). Su questa linea esegetica modificatrice si colloca una buona parte della tradizione patristica e anche una nuova e recentissima traduzione Cei della Bibbia: “e non abbandonarci alla tentazione”. I problemi non riguardano solo il verbo eispherein, dal momento che il greco peirasmós può significare “tentazione” ma anche, più semplicemente, “prova”. È chiaro che la scelta tra queste due accezioni implica due “agenti” diversi: la “prova” provenendo da Dio, la “tentazione” dal demonio. Da più parti ( anche autorevoli ) è stato fatto osservare che Dio, essendo Padre misericordioso, non può assolutamente mettere alla prova i suoi figli né tantomeno tentarli. Ciò sarebbe per alcuni addirittura blasfemo. Per la verità, alcuni episodi biblici parrebbero attestare il contrario (basti citare i casi di Abramo e di Giobbe, ed alcune inequivoche espressioni dei Salmi : Ps. 10, 5 “ Il Signore mette alla prova giusti ed empi”. Dal salmo 25, 2 si deduce che il giusto può persino chiedere a Dio di metterlo alla prova: “Scrutami, o Signore, e mettimi alla prova”). Non solo, ma Dio può addirittura permettere a Satana di “tentare” il giusto: basti citare l’episodio notissimo delle tentazioni di Gesù nel deserto, prima dell’inizio della sua vita pubblica, e il bellissimo commento che ne fa S. Agostino (Comm. al Salmo 60,3) : “La nostra vita in questo pellegrinaggio non può essere esente da prove...Nessuno può conoscere sé stesso se non è tentato... Il Signore volle prefigurare noi, che siamo il suo corpo mistico, nelle vicende del suo corpo reale... Dunque egli ci ha come trasfigurati in sé, quando volle essere tentato da Satana... Cristo fu tentato dal diavolo nel deserto, ma in Cristo eri tentato anche tu... Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato, ma perché non consideri che egli ha anche vinto ? Fosti tu ad essere tentato in lui, ma riconosci anche che in lui tu sei vincitore!”. In definitiva, personalmente riterrei preferibile “non abbandonarci nella prova / nel momento della prova”, naturalmente anche nel senso ampio di “ non sottoporci, o Signore, ad una prova troppo dura e troppo pesante per le nostre forze” o, al limite, “ non abbandonarci nella tentazione / nel momento della tentazione” , in linea con S. Paolo (Prima lettera ai Corinzi, 10,13: “Dio ... non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere”. Singolare, che dopo ben diciassette secoli, solo negli anni scorsi si sia aperto, nel mondo teologico latino un dibattito articolato su questo argomento, certamente delicato ma assai interessante, e non solo sul piano storico e filologico.

3.“Liberaci dal Maligno”
Sono molto numerose ed ampiamente condivisibili le tradizioni ortodosse che utilizzano la formula “Liberaci dal Maligno”, anziché “Liberaci dal male”. Ricordiamo che il testo greco originario è “allà rüsai hemàs apò tu poneroù” e quello aramaico nella prima formulazione era èla pacàn mèn bisàh, “ma liberaci da ciò che è male”. Anche alla luce di quanto esposto sopra rispetto alla traduzione “Non abbandonarci nella tentazione”, sarebbe più coerente interpretare nel versetto seguente il genitivo poneroû come un genitivo maschile (“Maligno”) anziché neutro (“male”), cioè, appunto, “ma liberaci dal Maligno” (dal quale provengono le tentazioni). Questa posizione, per così dire, “personificatrice” è confortata dal fatto che in numerosi manoscritti greci (anche antichi) leggiamo, a conclusione del Padre nostro, la dossologia “Poiché tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli “ (versione - testo dell’oratio Dominica inglobante la dossologia come parte integrante - adottata anche nell’eucologia e nella liturgia delle Chiese della Riforma). Come ricorda ancora Uglione, l’attestazione di una analoga dossologia già nella Didaché ( un’opera risalente alla fine del I secolo d. C.) fa ritenere che tale dossologia sia un ampliamento molto arcaico, dovuto quasi sicuramente a motivazioni liturgiche. Era, infatti, consuetudine diffusa nel giudaismo concludere le preghiere con una dossologia formale e le prime comunità cristiane erano solite seguire la prassi liturgica sinagogale. E’ evidente infatti, in prospettiva escatologica, che la potenza del Maligno è destinata, alla fine dei tempi, a svanire e ad essere superata e vinta dalla potenza di Dio: poiché, in definitiva, suoi e soltanto suoi sono il regno, la potenza e la gloria.


Mons. Max Giusio
Teologo - Vice Rettore della
Università Ortodossa San Giovanni Crisostomo


sabato 28 dicembre 2019

La vera storia dei Magi

La vera storia dei Magi

Il Vangelo di Matteo (Matteo II, 1-14) ci racconta che dei  Magi, seguendo una stella, erano giunti in Giudea per rendere omaggio al Re che era nato, perché avevano visto sorgere la sua stella ed erano venuti per adorarlo. Detti Magi, portarono in dono a Gesù, nel giorno della nascita - avvenuta nella città di Betlemme - come preannunciato nella Bibbia (Michea 5,1) riconosciuto come Messia e Re dei Giudei, oro (in omaggio alla sua regalità), incenso (in omaggio alla sua divinità) e mirra (una gommoresina aromatica usata per le imbalsamazioni, in omaggio alla sua vittoria sulla morte). Dell'adorazione dei Magi parla soltanto l'evangelista  Matteo (Matteo II,2) dove non ne è precisato il numero e non si dice fossero Re. L'opinione che fossero tre, si diffuse per il fatto che essendo tre i doni, ne avessero portato uno ciscuno e , nei secoli successivi si iniziarono a dare anche dei nomi a detti Magi, conosciuti in Italia come Gaspare, Baldassarre e Merchionne ma con altri nomi in altri paesi (es.: Karsukan, Basanater e Hor in Etiopia; Galgalat, Malgalat e Sarachin in Israele; Kagpha, Badadakharida e Badadilma in Armenia; Larvandad, Hormisdas e Gushnasaph in Siria; Apellius, Amerius e Damascus in Grecia ecc.). Come l'invenzione dei nomi (non presenti nel vangelo) anche quella che fossero Re  è una storia venuta secoli dopo che non c’entra nulla con la figura storica dei Magi, ma con una interpretazione del Salmo LXXI,10 («Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte, i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi.») non associato ai Magi né dalle fonti canoniche delle varie Chiese cristiane, né dai Padri della Chiesa. L’adorazione dei Magi a Gesù bambino è definita Teofania dalla Chiesa Ortodossa (dal greco theophàneia, composto da theos – dio e da phàinein – manifestarsi) che la festeggia unicamente al Natale ed Epifania (dal greco epifaneia – manifestazione) dalla Chiesa Cattolica che la festeggia a parte il 6 gennaio.

Ma chi erano i Magi? Per lo storico e scrittore greco di Alicarnasso (Asia Minore – attuale Turchia) Erodoto, i Magi o magoi (persiano magūsh, greco màgos) erano una casta sacerdotale ereditaria dei Medi sul tipo di quella dei bramini indù, sacerdoti astronomi che hanno dato nome al termine magia (latino magus, greco magos), una casta di astronomi, indovini, incantatori, incaricati del culto del fuoco, prelati dell'antica religione zoroastriana presente in Iran (letteralmente Terra degli Ariani) da tempo immemorabile, dei cui poteri divinatori ne parla anche il profeta Daniele che "per l’aiuto di Dio venne posto a capo dei “magi” di Babilonia"(Daniele 4:9 e 5:11). 


L’abbigliamento dei Magi non era regale ma molto semplice, avevano pantaloni aderenti, tuniche corte, scarpe a punta ricurva e ampi mantelli sulle spalle; ma soprattutto avevano il capo coperto dai tipici “berretti frigi”, copricapo rosso conico con la punta ripiegata in avanti. La religione zoroastriana fu fondata da Zarathustra, un profeta proveniente dall’attuale Azerbaigian, il cui nome significa Terra dei Fuochi in onore di questa antica religione, tanto che nella capitale Baku ancora oggi si trova un antico tempio di fuoco Ateshgah.
I Magi che adorarono Gesù provenivano probabilmente dall’attuale Kurdistan, dove vivevano i Medi, un antico popolo iranico che per Erodoto prima ancora si chiamavano Ariani e cambiarono il nome in Medi in onore di Medea la Colchide, moglie di Giasone capo degli Argonauti ed i cui discendenti sono gli attuali Curdi. Il territorio della Media dal quale probabilmente venivano i Magi è un vasto altopiano situato nella parte settentrionale e nord-orientale della Mesopotamia, che include i laghi di Urmia e Van le catene dei monti Zagros e Tauro. A titolo di pura curiosità l’antica lingua lingua dei Medi sopravvive attualmente unicamente in un piccolo villaggio montanaro di nome Abyaneh, di poco più di 300 abitanti, situato nella regione iraniana di Isfahan, dove è ancora presente un antichissimo tempio di fuoco zoroastriano Harpak utilizzato anticamente dai Magi.
Ma perché i Magi, sacerdoti di una religione straniera, andarono a rendere omaggio a Gesù? Nel Vangelo di Matteo è scritto che seguirono un astro, e non una stella cometa. Secondo gli astronomi intorno all’Anno Uno passò vicino alla terra la cometa di Encke e nell’anno 7 a.c. ci fu una congiunzione particolarmente luminosa Giove-Saturno che si trovarono nel cielo uno vicino all’altro per ben tre volte come evidenziato da Corrado Lamberti, direttore della rivista Le Stelle, ma forse il motivo va ricercata nei testi sacri dell’antica religione mazdeista o zoroastriana, dove nell’Avesta è prevista la nascita, da una Vergine, di un “salvatore” o Saoshyant che sovrintenderà al rinnovamento del mondo. Il Saoshyant o Salvatore alla fine dei tempi porterà alla risurrezione dei corpi a cui seguirà il giudizio universale e nel Vangelo dell’infanzia arabo siriano (un vangelo apocrifo) c’è scritto che in seguito alla nascita di Gesù a Betlemme vennero dei Magi dall’oriente “… come aveva predetto Zarathustra”.
Gesù, il Messia ebraico (māšīāḥ) che rende compimento a quanto preannunciato nella Bibbia dai Profeti Isaia (7:14) e Geremia (31:22) è anche il Salvatore (Saoshyant) profetizzato da Zoroastro nell’Avesta e sia per la Bibbia che per l’Avesta Gesù doveva, per rendere compimento alle profezie delle due religioni monoteiste dell’antichità, nascere da una Vergine, come testimoniato anche nei Vangeli di Luca (1:34-35) e Matteo (1:18-23).

La figura dei Magi, sacerdoti astronomi dell'antico culto zoroastriano (che ancora sopravvive, con circa 300.000 fedeli, concentrati soprattutto in Iran e in India), venuti da una terra straniera (probabilmente dai monti Zagros nell'attuale Kurdistan iracheno) a rendere testimonianza della manifestazione di Gesù quale Messia e Salvatore, ha una grande importanza simbolica nel cristianesimo perché rappresenta l'universalità del messaggio di Cristo venuto per la salvezza non del solo popolo d'Israele ma di tutta l'umanità.

mons. Filippo Ortenzi
Rettore Università Ortodossa San Giovanni Crisostomo





mercoledì 20 novembre 2019

Convenzione di reciproco riconoscimento tra l'Istituto Superiore di Teologia Ortodossa San Pietro e l'Università Ortodossa San Giovanni Crisostomo


Convenzione di reciproco riconoscimento tra 
l'Istituto Superiore di Teologia Ortodossa San Pietro 
e l'Università Ortodossa San Giovanni Crisostomo

"religione senza sapere è inseguire la rovina dell'anima"




Nel rispetto dell'autonomia di ciascuna delle due istituzioni di formazione superiore in teologia ortodossa (ortodosso inteso come: vero, giusto, diritto), i responsabili dell'Istituto Superiore di Teologia Ortodossa San Pietro di Yaoundé (istoy) e quelli dell'Università Ortodossa San Giovanni Crisostomo di Roma hanno firmato il 13 novembre 2019 il riconoscimento reciproco dei diplomi, dei titoli e dei periodi di studio nelle loro università reciproche.



Nello stesso documento, entrambe le parti riconoscono la mobilità degli studenti delle rispettive istituzioni secondo ciò su cui potranno andare d'accordo per l'agevolazione del proseguimento degli studi in una o l'altra istituzione, nonché la cooperazione nel settore dell' Insegnamento, in particolare lo scambio degli insegnanti e l'adozione dei programmi accademici comuni.



La parte italiana era rappresentata dal dott. Filippo Ortenzi, arcivescovo metropolita della Chiesa Ortodossa Italiana e Rettore dell'Università Ortodossa San Giovanni Crisostomo di Roma e la parte Camerun era rappresentata dal dott. Pierre Atyam moto, arcivescovo primate della Chiesa Ortodossa Autonoma d'Africa - EOAA, rettore dell'Istituto Superiore di Teologia Ortodossa San Pietro (istoy) di Yaondé (Camerun).




lunedì 4 novembre 2019

Epistula Lentuli ad Romanos de Christo Jesu

Epistula Lentuli ad Romanos de Christo Jesu

Il vero volto di Gesù

Quale era il volto di Gesù? Quello dell'Uomo della Sindone o quello dipinto dai pittori da secoli? Nel 1421 fu rinvenuto dal nobile italiano Giacomo Colonna il cosiddetto "manoscritto di Jena" un antico documento inviato a Roma dalla capitale dell'Impero (Costantinopoli). E' l'epistola (lettera) mandata dal senatore romano Publius Lentulus all'imperatore Tiberio dove parla di un certo Gesù Cristo, uomo dal grande potere taumaturgico e del quale illustra la figura fisica. Il ritratto che ne scaturisce è più vicino all'immagine di Nostro Signore effettuata dai cristiani dei primi secoli che a quella attuale che lo rappresenta come una specie di hippy moderno. Detta lettera, scritta da un magistrato romano, ex governatore della Siria Palestina prima di Ponzio Pilato, di religione pagana e non cristiano, è un apocrifo (cioè non fa parte dei canoni cristiani) e, per taluni storici, anche un falso. Noi non sappiamo se il documento sia vero o falso, ma riteniamo il documento importante e, di conseguenza lo proponiamo anche a voi.



Questa è una delle più antiche immagini di Gesù, quella inerente la tradizione del mandylion, il Volto Santo acheropita, ossia non dipinto da mano umana, venerato dalle prime comunità cristiane, noto come immagine di Edessa di Mesopotania (oggi Urfa in Turchia) poi traslato a Costantinopoli - Nuova Roma (oggi Istambul - Turchia) e scomparso nel 1204 quando le orde cattoliche crociate conquistarono e saccheggiarono Costantinopoli causando la fine dell'Impero Romano. 

"Un ufficiale romano di nome Lentulo allorché si trovava, per i Romani, nella provincia della Giudea all'epoca di Tiberio Cesare vedendo Cristo, le mirabili sue gesta, la sua predicazione, gli infiniti miracoli e varie altre cose stupende, così al senatore romano scrisse:

 In quei tempi apparve, e vive tuttora, un uomo dotato di straordinario potere di nome Gesù Cristo. Dalla gente è detto profeta di verità, i suoi discepoli lo chiamano Figlio di Dio, risuscita i morti, e guarisce [tutte] le malattie. E' un uomo dalla statura alta e ben proporzionata, dallo sguardo improntato a severità;  quanti lo guardano lo possono amare e temere. I suoi capelli hanno il colore delle noci di Sorrento molto mature e discendono dritti quasi fino alle orecchie; dalle orecchie in poi sono increspati e a ricci alquanto  più chiari e lucenti ondeggianti sulle spalle; nel mezzo  ha una riga secondo il costume dei nazarei. La sua fronte è liscia e serenissima, il viso non ha né rughe  macchie, ed è abbellito da un [moderato] rossore. Il naso e la bocca sono perfettamente regolari. Ha barba abbondante [e impubere] dello stesso colore dei capelli: non è lunga, e sul mento [in mezzo] è (leggermente) biforcuta. Il suo aspetto è semplice e maturo. I suoi occhi sono azzurri, vivaci e brillanti. Terribile quando rimprovera, accarezzevole e amabile quando insegna, gioviale pur 
Qualche volta ha pianto, ma non ha mai riso [non fu  mai visto ridere, bensì piangere]. La statura del suo corpo è alta e diritta, le mani e le braccia graziose alla vista.
Parla poco, grave e misurato.
Giustamente fu dunque detto dal profeta: Il  più bello dei figli degli uomini [Dall'aspetto più bello dei figli degli uomini].
Costui è il re della gloria, che gli angeli desiderano contemplare, la cui bellezza è ammirata dal sole e dalla luna,  il salvatore del mondo,  l'autore della vita.  A lui onore e gloria in eternoAmen"

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 Richiesta di iscrizione ai Corsi Accademia Ortodossa “San Nicodemo L'Aghiorita” email: accademia.ortodossa@gmail.com () Corso Liturgia ...