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domenica 29 novembre 2020

Riflessioni sul Nuovus Ordo Missae di Papa Francesco

 

Riflessioni sul

Nuovus Ordo Missae

di Papa Francesco


Domenica 29 novembre sarà ricordata come la data nella quale è entrato in vigore il Novus Ordo Missae o Messa di Papa Francesco (Jorge Mario Bergoglio) nella quale sono riportate varie novità, su alcune delle quali ci permettiamo di effettuare delle riflessioni teologiche. Segnalo, la modifica del Gloria dove, dopo 2000 anni, la frase riportata dal Vangelo secondo Luca (Lc 2,14) «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà» viene modificata in: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» analoga a quella in uso nelle Chiese Evangeliche «Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini, su cui si posa il suo favore» (traduzione della Bibbia in fatta dal protestante lucchese Giovanni Diodati e pubblicata a Ginevra nel XVII secolo). Tale modifica, più vicina alla teologia protestante che a quella cattolica, è in contrasto con la traduzione fatta da san Girolamo (la Vulgata) , che a nostro parere era più esatta, perché “gli uomini di buona volontà” sono coloro che accolgono il messaggio di Gesù, Figlio di Dio, mentre la formula “che egli ama” o “su cui si posa il suo favore” come è recitata nelle chiese evangeliche riformate e luterane, risente da un lato della dottrina agostiniana della Grazia creata e della predestinazione, estranee all’Ortodossia cristiana, e dall’altro a quel misericordismo bergogliano che in un colloquio col giornalista Eugenio Scalfari del marzo 2018 ha sostenuto che “l’inferno non esiste” (come anche che Gesù non era Dio ma un Uomo) e si è fatto promotore di quella teoria detta Apocatastasi (apokatástasis) che significa "ritorno allo stato originario" o "reintegrazione", elaborata da alcuni seguaci di Origine, che fu condannata come eretica dal II Concilio Ecumenico di Costantinopoli del 553 indetto dall’imperatore romano san Giustiniano I, isapostolo, che condannò tale dottrina anche con un apposito Editto. Nel rito della pace non si dice più «Scambiatevi un segno di pace», ma da: «Scambiatevi il dono della pace», tale modifiche, pur contrastando un uso plurisecolare da parte del clero e del popolo sono, a mio parere discutibile, è comunque teologicamente neutra. Per seguire il pensiero unico del “politicamente corretto” viene aggiunto nell’atto penitenziale della Confessio, la parola “sorelle”: «Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle»  cosa ribadita anche nella preghiera per i defunti: «Ricordati anche dei nostri fratelli e delle nostre sorelle». Nella storia della cristianità e nei testi sacri i termini “fratelli” e “uomini non hanno una connotazione maschile ma neutra, intendendo TUTTI i credenti o i membri dell’umanità, è come se uno dovesse declinare al femminile il temine idraulico o al maschile astronauta con i quali più che un genere sessuale s’intende una professione, e a quando parlando degli angeli ci si riferirà a loro come “agli angeli e alle angele”? Altra novità è l’aver modificato, durante il rito eucaristico, alla formula: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo.(Giov 1,29) che concludeva “Beati gli invitati alla cena del Signore”. Con cena del Signore s’intendeva la santa cena istituita da Gesù, come riportato nei vangeli di Matteo (26,26-28), Marco (14,22-24) e Luca (22,19-20) e nella prima lettera di san Paolo ai Corinzi (11,23-25), mentre con Beati gli invitati alla cena dell’Agnellosi passa da un riferimento evangelico ad uno apocalittico - Apocalisse (19,9) : “E l'angelo mi disse: «Scrivi: "Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozze dell'Agnello"riferito non al popolo vivente di Dio ma alla Parusia, ossia la venuta di Gesù alla fine dei tempi, per instaurare il Regno di Dio (si vogliono forse trasformare le Chiese in Assemblee del Regno con i cattolici nuovi testimoni di Geova?). La cosa che veramente lascia perplessi è la sostituzione durante la preghiera eucaristica della frase Santifica questi doni con l’effusione del tuo Spiritocon Santifica questi doni con la RUGIADA del tuo Spirito”. Che vuol dire con la rugiada”? Cosa c’entrano queste goccioline dovute alla condensazione del vapore acqueo con l’ipostasi dello Spirito Santo che, semmai, si è manifestato durante il battesimo di Gesù sotto forma di colomba, vedi i vangeli di Matteo (3,13-17), Marco (19,11), Luca (3,21-22) e Giovanni (1,31-33), o nella Pentecoste come lingua di fuoco (Atti 2,1-11)? Tale teoria bergogliana della rugiada sembra mutuata dalle teorie teosofiche dello scrittore Georg von Welling e del filosofo ermetico Anton Kirghweger per le quali “l’acqua spirituale, principio di tutte le cose, scende sulla terra ”come rugiada”, raccolta da Sole e Lunacome sostenuto nel testo “Aurea Catena Homeri” e dalla rivista Lucifer della famosa occultista Madame Blawatsky. D’altra parte cosa ci si può attendere da un papa che ha fatto portare in processione, dentro il Vaticano, la statua della dea pagana Pachamama, invitando i cristiani ad onorarla  (1 giugno 2016) perché: A noi tutti piace la Madre Terra perché è quella che ci ha dato la vita”; oppure che ha affermato (7 febbraio 2016): “tra i grandi d’Italia c’è Emma Bonino” (nota atea, abortista, divorzista e promotrice della cultura gender); oppure: anche dentro la santissima Trinità stanno tutti litigando a porte chiuse, mentre fuori l’immagine è di unità(17 marzo 2017); che in un’Omelia a Santa Marta, nello stesso anno, ha sostenuto che Gesù in Croce si è fatto diavolo, serpenteo che in un’udienza generale in piazza San Pietro, ha detto che “la morte di Gesù è un fatto storico ma la sua risurrezione noo un’infinità di altre eresie per elencare le quali non basta un articolo, e forse neppure un libro.

Mons. Filippo Ortenzi

Arcivescovo Metropolita della Chiesa Ortodossa Italiana

Rettore Università Ortodossa San Giovanni Crisostomo

web: www.chiesa-ortodossa.it



venerdì 27 novembre 2020

La Maina Terra di amazzoni e guerrieri un territorio greco che i musulmani non sono riusciti mai a domare

 

La Maina

Terra di amazzoni e guerrieri

un territorio greco che i musulmani non sono riusciti mai a domare


La Maina (parte meridionale del territorio dell’antica Sparta) è una penisola del Peloponneso abitato da una popolazione greca che vive in una zona montuosa e impervia e  che termina a Capo Matapan. I manioti furono ultima popolazione greca che non si era ancora convertita al cristianesimo e dove era sopravvissuta l’antica religione pagana ellenica, la loro conversione avvenne a ridosso dell’anno mille, quando da secoli l’impero romano stava combattendo contro le invasioni islamiche nel vicino oriente e che avevano occupato anche diverse isole greche. La conversione fu opera soprattutto di san Nicone il Metanoita, ricordato anche per la fondazione di tre chiese e un monastero a Sparta, dove è sepolto e venerato da secoli. Pur scarsamente abitata (oggigiorno vi vivono poco più di 20.000 persone e, nel passato, raggiunse al massimo 100.000 abitanti) è stata l’unica regione della Grecia rimasta pressoché indipendente per tutto il periodo della denominazione islamica ottomana. I Manioti (detti anche Spartani) infatti abitavano in torri fortificate, in zone difficilmente accessibili e impraticabili e avevano donne tenaci, che combattevano ferocemente insieme ai propri uomini. La Koinon (Comunità) dei manioti fu semi-indipendente per tutto il periodo dell’Impero Romano, che ebbe sempre un forte rispetto per questi discendenti dell’antica Sparta, dove reclutava tra le più efficienti truppe combattenti. Nel 468 distrussero un’armata di vandali e alani mandata da Gaiserico per conquistare la Grecia e durante le invasioni barbariche neppure i Visigoti e gli Avari, che avevano occupato il resto della Grecia, riuscirono a penetrare nei territori di questa bellicosa popolazione. Dopo la conquista crociata di Costantinopoli, che nel nome del cattolicesimo pose fine al millenario impero romano, depredando la città delle sue reliquie (trasportate prevalentemente a Roma) e delle sue ricchezze, i manioti, come un’altra popolazione montanara di fede ortodossa, quella degli zaconi, furono le uniche genti greche i cui territori non furono occupati dalle forze franco-cattoliche del Principato di Acaia. Con la riconquista della Grecia da parte del ricostituito Impero Romano (erroneamente definito bizantino dagli storici contemporanei)  e l’espulsione degli invasori franco-cattolici dalla Laconia, i manioti divennero fedeli sudditi del Despotato di Morea. Dopo la caduta di Costantinopoli (1453) ad opera del Sultano Maometto II iniziò l’aggressione islamica alla Grecia. Nel 1480 l’Impero Ottomano, per sottomettere questo lembo di territorio rimasto indipendente, mandò contro i manioti 2000 fanti e 300 cavalieri che furono attaccati e sterminati dai ribelli manioti guidati dal comandante Kladas, che successivamente, sterminarono tutti i turchi e i mussulmani che ivi si erano insediati nella Piana di Laconia.. Dopo tale atto per oltre un secolo i mussulmani ottomani si ben guardarono di attaccare questi fieri discendenti di Sparta. Soltanto nel primo decennio del XVII secolo un esercito ottomano formato da più di 20.000 uomini e 70 navi riuscì, sia pure per poco, a sottomettere la Maina. Nel 1659 un esercito di 13.000 manioti sconfisse gli ottomani e liberò Calamata (Peleponneso greco) dal giogo islamico e nel 1667 navi corsare maniote attaccarono la flotta turca incendiando numerose navi per aiutare i loro fratelli dell'isola di Candia difesa, dai veneziani. Quando il gran Visir mandò una flotta guidata da Hasan Baba per sottometterli, questi attaccarono le navi e fecero strage dei turchi. Alla fine del XVII secolo, anche grazie al tradimento del potente clan dei Gerakaris, la Mania passò sotto il dominio ottomano e una parte rilevante della popolazione fuggì in Occidente, come i Latriani che nel 1670 si stabilirono a Livorno (dove presero il cognome Medici), altri a Volterra o a Napoli (qui Tomaso Asanis Paleologo fece costruire una chiesa greco-ortodossa). Il clan degli  Stephanopoulos si stabilì in Corsica e da qui successivamente in Sardegna, creando un insediamento a Montresta. Nel ‘700 i manioti si resero nuovamente indipendenti con Sua Altezza Gerakarios Limberakis, governatore della Maina e signore di Rumelia (terra dei Romani). Nel 1770 i Manioni furoni tra i promotori della sollevazione promossa dall’ammiraglio russo conte Aleksey Grigoryevich Orlov. In quell’anno una Legione composta da 500 manioti e 6 russi debellò un contingente di ben 3.500 soldati ottomani. Truppe ottomane che erano penetrate nella Maina vennero attaccate nottetempo ad Almiro dai guerrieri e amazzoni mainite, in tale battaglia  i turchi persero oltre 1.700 uomini a fronte di appena 39 perdite maniote. Dopo la fine della rivolta, volontari manioti combatterono contro gli ottomani e a fianco dei russi in Crimea dove operò una Legione al comando del maggiore Stephanos Mavromicalis. Per sottomettere i manioti la Sublime Porta mandò ingenti truppe turche e albanesi. A Kastania le Case-Torri del clan Kolokotronis resistettero per 12 giorni ad un esercito ottomano di oltre 16.000 uomini guidato da Haci Osman. Le Torri erano difese da 150 manioti in armi, sia uomini che donne, molti dei quali morirono in battaglia e gli altri, catturati furono torturati e uccisi per smembramento. La moglie del comandante Kostantinos Kolokotronis, vestita da guerriero maniota riuscì a fuggire col figlio Theodoros, che successivamente diventerà uno degli eroi dell’indipendentismo greco. Dopo Kastania le truppe ottomane di Haci Osman avanzarono verso Skoutari per attaccare le Torri del clan Grigorakis ma una milizia di clefti manioti (i clefti erano delle milizie irregolari anti-turche, simili agli aiduchi operanti negli altri paesi balcanici e ai cetnici serbi) formata da 5.000 uomini e 2.000 donne attaccò i turchi nella Piana di Agio Pigada. L’esercito ottomano perse oltre 10.000 uomini in battaglia e il resto dovette fuggire e ripiegare verso la Laconia, a dimostrazione che non solo negli uomini ma anche nelle donne della Maina scorreva il sangue guerriero di Sparta. Dopo tale battaglia la Maina fu la base delle milizie ortodosse dei clefti e i suoi porti si trasformarono in basi di pirateria anti-turca. Nel 1803 una flotta ottomana guidata dall’Ammiraglio turco Seremet fu respinta dai manioti della roccaforte di Zatenos e nel 1807 analoga sorte ebbero gli attacchi turchi contro la città di Gytheio. Anche l’attacco ottomano del 1815 fu respinto dai guerrieri mainiti guidati da Theodorobey (Theodoros Zanerakos). Nel 1821 i manioti furono i primi ad aderire militarmente al movimento indipendentista greco Filiki Eteria e davanti alla Chiesa degli Arcangeli Michele e Gabriele di Areopoli iniziarono la guerra d’indipendenza una settimana prima che la sollevazione iniziasse anche nelle altre località greche. La bandiera delle truppe mainote era bianca con una croce blu al centro e il motto “Vittoria o Morte” con sopra lo scudo spartano, non usarono lo slogan “Libertà o Morte” come tutte le altre formazioni dell’Eteria perché la Maina era già da secoli libera dal giogo ottomano. Il 23 marzo 1821 truppe maniote guidate da Petros Mavromicalis, comandante in capo delle truppe spartane (così erano denominate le truppe maniote) liberò Calamata e, successivamente attaccò gli ottomani in Messenia e Laconia. Un contingente spartano di 300 uomini diretto da Theodoros Kolokotronis liberò l’Accadia sconfiggendo un contingente turco di 1.300 uomini, mentre il 12 settembre truppe spartane occuparono Tripoli, capitale ottomana del Peloponneso. Nel 1824 l’esercito ottomano, rafforzato da un enorme armata egiziana al comando del Chedivè (vice-Re) d’Egitto Mehmed Ali riuscì a soffocare l’insurrezione greca e a riprendere il controllo di tutto il territorio, ad eccezione della Maina e della città di Nauplia difesa da contingenti spartani. Il 21 giugno 1826 Mehmed Ali, desideroso di soffocare l’ultimo territorio ribelle della Grecia, attaccò la Maina con 7.000 soldati e due navi da guerra ma fu respinto davanti alle Mura di Vergas da 2.000 guerrieri manioti, rafforzati da 500 rifugiati greci. Le armate islamiche furono costrette ad evacuare la Maina subendo la perdita di oltre 2.500 uomini. Il 24 giugno 1926 il comandante delle forze ottomane-egiziane mandò una flotta contro la città portuale di Areopoli priva di guarnigioni essendo tutti gli uomini a combattere ad Almyro e Vergas, 1.500 soldati egiziani sbarcarono nella Baia di Diros ma alla notizia i sacerdoti ortodossi iniziarono a richiamare il popolo al sono delle campane e centinaia di donne e vecchi che lavoravano nei campi assaltarono i turchi con roncole, falci e forconi ricacciando indietro i soldati islamici che furono costretti a fuggire e risalire sulle navi. Nella battaglia gli egiziani persero 1.000 soldati e le vittoriose donne di Diro sono passate alla storia come “le Amazzoni di Diro”. Ibhraim Pasha al fine di sottomettere la Maina mandò una armata araba di 6.000 uomini che rasero al suolo la Casa-Torre del clan Stathakos ma furono sconfitti a Polytsaravos dalle milizie clefte-spartane forti di 2.500 uomini. Nella battaglia  gli arabi ebbero 400 morti a fronte di appena 9 manioti. Questa battaglia è ritenuta dagli storici come l’inizio della liberazione della Grecia dalla dominazione ottomana. Per concludere vorrei segnalare che in Sardegna, nella zona nota come Pianàrza, tra il fiume Temo e il Monteferru esiste un paese, di nome Montresta (OR) fondato nel 1746 da una cinquantina di famiglie maniote originarie della città di Oitylo e provenienti da un precedente insediamento in Corsica, su un territorio messo loro a disposizione dal Re di Sardegna Carlo Emanuele III. In detta cittadina, che oggi ha poco meno di 500 abitanti, la lingua maniota (una lingua greca arcaica che al pari del griko o greco-salentino ha molti doricismi) è estinta e la popolazione parla italiano o sardo e le uniche testimonianze rimangono in alcuni cognomi, quali Stefanopoli (Stephanopoulos), Comneno o Passero (Psaròs).

mons. Filippo Ortenzi
Rettore Università Ortodossa San Giovanni Crisostomo

domenica 22 novembre 2020

santa Cecilia patrona della Musica

            santa Cecilia patrona della Musica


Santa Cecilia è stata santa sposa e nobile romana convertita al cristianesimo, si narra che il giorno delle nozze nella casa di Cecilia risuonassero organi e lieti canti ai quali la vergine, accompagnandosi, cantava nel suo cuore: “conserva o Signore immacolati il mio cuore e il mio corpo, affinché non resti confusa”. Da questo canto del cuore è stata presa come di protettrice dei musicanti. La santa, insieme al marito Valeriano (anche lui venerato come santo) era dedita alla pietà cristiana e alla sepoltura di tutti i poveri corpi che incontravano lungo la loro strada. La Legenda Aurea narra che papa Urbano I, che aveva convertito il marito di lei Valeriano ed era stato testimone del martirio, «seppellì il corpo di Cecilia tra quelli dei vescovi e consacrò la sua casa trasformandola in una chiesa, così come gli aveva chiesto» oggigiorno tale leggenda è reputata non veritiera in quanto non risultano storicamente persecuzioni anticristiane durante il pontificato di Urbano I (venerato come santo e Confessore dalla Chiesa Cattolica). Sulla santità di Cecilia vi è una prova fisica, infatti nel 1599, durante i restauri della basilica, ordinati dal cardinale Paolo Emilio Sfondrati venne ritrovato un sarcofago con il corpo di Cecilia incorrotto ed emanante profumo di gigli e di rose. Papa Paolo VI nel 1969 con il motu proprio “Pascalis Mysteri” reputando leggandario e non veritiero il sinassario di santa Cecilia la escluse dall’elenco dei santi insieme a san Giorgio, santa Barbara, san Cristoforo, santa Caterina d’Alessandria e un’altra trentina di santi dei quali non si sono trovate prove certe storiche della  loro  esistenza,  anche  se  nel caso di santa  Cecilia  abbiamo  almeno il corpo incorrotto.        Di questi santi comunque santa Cecilia è l’unica che, su pressione dei musicisti di tutto il mondo, la Chiesa Cattolica ha fatto marcia indietro riammettendone il culto. Per le Chiese Ortodosse che riconoscono particolare valore all'osmogenesi (profumo di santità) emanato dai resti di un santo e per il martirio subito, la santa rimane un esempio di pietà cristiana e di testimonianza della fede.


mons. Filippo Ortenzi

Rettore Università Ortodossa San Giovanni Crisostomo



giovedì 19 novembre 2020

Il Culto dei defunti presso gli ortodossi

  Il Culto dei defunti presso gli ortodossi


Il mese di novembre nella tradizione italiana e in generale della Chiesa cattolica latina è il mese dedicato alla commemorazione delle anime dei defunti. Nella tradizione ortodossa, non vi sono invece periodi dell'anno dedicati all'uopo, ma ogni momento è buono e giusto per fare memoria dei nostri cari.

Quando si parla di defunti, è ovvio che il tema principale è la morte, che per ogni cristiano dovrebbe rappresentare il momento più solenne della vita! Si sta passando infatti dal mondo "finito" a quello eterno e quindi "infinito". 
Tuttavia come ricordato nell' opera "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia" di G. Leopardi, spesso l'uomo teme persino il suo giorno natale : "Forse...(...)..dentro covile o cuna, è funesto a chi nasce il dì natale!", l'uomo è tentato a cadere nella disperazione di una vita insignificante, proprio perchè segnata da un epilogo come la morte! 

Per il vero cristiano, la morte del corpo è la fine del purgatorio, che se è stato compiuto bene ci riserverà la vita eterna accanto a nostro Signore Gesù Cristo! In questa ottica, davanti all'imminente morte di una persona cara, non bisogna farsi prendere dallo sconforto e bisogna chiamare il prete affinchè ci si prenda cura della sua anima, bisogna somministrargli l' unzione degli infermi, la comunione, la confessione e pregare! Il Signore saprà se guarirlo o no! Il malato se cosciente deve partecipare attivamente alla preghiera!
E' alquanto inutile, anche se comprensibile, lasciarsi prendere dal pianto e privare i nostri cari del conforto finale, dato dalla nostra preghiera, segno del nostro conforto e sostegno al trapasso!

Nella tradizione ortodossa, dopo il consueto lavaggio e vestimento della salma, viene posta una croce nelle mani, giunte sul petto del defunto, a simboleggiare che la persona ha preso la sua croce e ha seguito Gesù nella sua vita. Null'altro deve essere messo all'interno della bara, neanche se il defunto aveva oggetti particolari alla quale era legato in vita perchè non può prendere con sé nulla di terreno, ma solo le ricchezze spirituali che ha costruito.
La sepoltura di un cristiano ortodosso avviene solo dopo il funerale in chiesa e deve avvenire in una bara di legno posta nella nuda terra, affinchè il corpo possa tornare facilmente alla terra. Una semplice croce o una piccola lapide con incisa una croce starà a testimoniare il luogo di sepoltura.

La cura spirituale e la commemorazione del defunto continuano per 40 giorni dopo la morte, giorni dove se possibile bisognerebbe commissionare una messa al giorno, o in alternativa almeno il terzo, nono e quarantesimo giorno, in occasione appunto del terzo, nono e quarantesimo giorno di commemorazione, è tradizione offrire i cosiddetti "pasti memoriali" ad amici e parenti intervenuti, invitando anche poveri e bisognosi, una buona opera in onore del defunto. Ai pasti memoriali è tradizione servire il Kolivo, grano bollito con aggiunta di miele e frutta secca, il grano a memoria del fatto che come il seme sepolto genera nuova vita anche noi siamo sepolti per una nuova vita e il miele e la frutta secca a significare la dolce vita in Cristo che ci attende dopo la morte!

 Padre Gianni de Paola

lunedì 16 novembre 2020

Simbologia della Croce Ortodossa


Simbologia della Croce Ortodossa


 

Guardando una Croce ortodossa, ciò che solitamente cade subito all’occhio è il “predellino inclinato” posto nella parte inferiore ove poggiano i piedi di Gesù. Tuttavia la Croce della tradizione ortodossa è piena di simbolismi e segni che rimandano a fatti delle sacre scritture, rendendo di fatto il Simbolo per eccellenza della cristianità uno scrigno  che custodisce il cuore della professione di fede del cristiano.

Vediamo di analizzare alcuni segni, almeno i più appariscenti:

1. La croce ortodossa non ha appeso il Cristo, inteso come la rappresentazione  tridimensionale dell’uomo, ma sulla scia di non apprezzare le statue, bensì al massimo le icone, sul crocifisso tradizionale ortodosso troviamo raffigurato Cristo Crocifisso, il nostro Salvatore! C’è da notare che non porta la corona di spine e che i suoi piedi sono inchiodati singolarmente, con due chiodi diversi. Dietro il corpo sono raffigurate la lancia, con la quale gli venne trafitto il costato e la canna con in punta una spugna, con la quale gli porsero l’aceto da bere.

2. Sopra la testa possiamo trovare scritte le espressioni in greco "IC XC NI KA'" che significano “Gesù Cristo vince”. Sulla  tavola più in alto (come in quella latina) sono incise le lettere INBI, in greco (in latino INRI), incisione imposta da Pilato per scherno e che significa “Gesù di Nazaret, Re dei Giudei”.

3. Sulla barra centrale, dove sono distese le braccia e inchiodate le mani, troviamo le raffigurazioni del sole (a sinistra) e della luna piena (a destra) che ricordano un passo di Gioele “Il sole si muterà in tenebra, e la luna in sangue” (GI 2:31). sopra le braccia troviamo l’iscrizione “Il Figlio di Dio” mentre sotto di esse “Ci prosterniamo davanti alla tua Croce, o Sovrano, e glorifichiamo la tua santa Risurrezione”.

4. Veniamo infine alla barra diagonale su cui sono inchiodati i piedi. Non vi sono documenti storici e archeologici che ne garantiscono la realtà, ma nella tradizione ortodossa ormai ha assunto un tale importante significato che non potrebbe non esserci e tra l’altro è degno di venerazione secondo quanto riportato nel Salmo 98:5 “Adoriamo lo sgabello dei suoi piedi ..”La Croce ortodossa assume le sembianze di una bilancia, simbolo della giustizia o del “Giudizio”, Gesù infatti fu crocifisso in mezzo a due ladroni, di cui uno, per essere pentito dei propri errori finì in paradiso, l’altro all’inferno, pertanto la parte alta della barra indica l’ascesa al paradiso, la parte bassa la discesa all’inferno.



☦️Padre Gianni de Paola

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