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martedì 26 maggio 2020

Corpus Paolinum



Corpus Paolinum 




Il Corpus Paolinum comprende tre opere dell’Apostolo dette Lettere Pastorali. Esse sono: I e II Timoteo e a Tito. Sono dette tali perchè sono dirette a pastori o delegati che operano a contatto diretto con i cristiani nella Chiesa. Le lettere pastorali hanno in comune lo stesso argomento o tematica: l’impostazione teologica per la guida delle Chiese nascenti. Timoteo e Tito erano appunto alla guida rispettivamente delle Chiese di Efeso e di Creta. Delle tre lettere prenderemo in esame solamente la Prima Lettera a Timoteo. Breve cenno biografico di Timoteo. Chi è Timoteo? È discepolo e compagno di Paolo, nativo di Listri in Licaonia; figlio di padre greco e madre giudeo-cristiana, gli venne concesso da Paolo la circoncisione. Paolo lo prese con sé durante il II viaggio apostolico (At 16, 1-5). Timoteo rimase solo con Sila (Silvano, altro collaboratore di Paolo) a Berea quando Paolo fu costretto a fuggire precipitosamente e che Timoteo raggiunse poi a Corinto. Fu mandato, in seguito, in Macedonia a compiere delicate missioni. Nelle Lettere viene associato a Paolo nel saluto, in particolare a quelle inviate ai Tessalonicesi, poi ai Corinzi, Filippesi, Colossesi e nel saluto finale ai Romani. Divenne per certi aspetti, in seguito a compiti delicati ricevuti, uno dei compagni più intimi e fidati di Paolo. Ma ritorniamo alle lettere. Timoteo opera nella Chiesa di Efeso per incarico dello stesso Apostolo, quando questi gli scrisse la presente lettera (1Tm), dal tono quasi confidenziale e piena di consigli utili per la guida spirituale della comunità. Nella lettera sono contenute indicazioni a vescovi, presbiteri e diaconi circa le loro qualità e le virtù necessarie per poter esercitare il proprio ministero, (Sono per così dire lettere dirette ai nostri vescovi, sacerdoti, diaconi e anche aspiranti tali). L’autore della lettera Dai primi secoli e fino a qualche tempo fa si è sempre ritenuto che l’autore fosse Paolo, ma negli ultimi decenni sono state approfondite le ricerche per cui molti studiosi ritengono che non sia Paolo l’autore delle lettere. Vedremo perchè. Ciò però non impedisce di affermare che esse sono ritenute canoniche e perciò ispirate. Ci sono motivi che fanno pensare che non siano di Paolo: 1) è un genere di scrittura il cui inizio non è comune al linguaggio di Paolo, il quale usa una sua singolare e personale espressione (Io Paolo, servo…); 2) il genere letterario di chi scrive, il quale firma il suo nome con uno pseudo grafico; 3) è un autore che ha scritto le lettere molti anni dopo la morte di Paolo, intorno agli anni 100/110 d.C.. Si tratta probabilmente di uno che conosceva bene Paolo. Vi si nota uno stile diverso, il vocabolario che usa e così la teologia. Si parla per la prima volta e in modo chiaro della struttura gerarchica della Chiesa: il Pastore o Vescovo, gli anziani o Presbiteri, i diaconi. Il genere del vocabolario teologico usato è inedito, viene pronunciato per la prima volta la parola deposito della fede, una espressione mai detta in precedenza da Paolo sia a Timoteo che a Tito. Ancora, per la prima volta appare un altro termine poco adoperato da Paolo: Salvatore, presente nelle lettere pastorali. Per tutte queste considerazioni, gli esperti sono giunti alla conclusione di cui abbiamo fatto cenno pocanzi. Data della lettera: probabilmente dopo una missione in Macedonia verso il 64 o 66, ma certamente prima della prigionia romana, durante la quale scrisse la 2a. Motivi della lettera: la nuova dottrina cristiana è esposta alle influenze di un movimento eretico, che mescola idee giudaiche e speculazioni orientali; falsi dottori circolano tra la comunità, atteggiandosi quali conoscitori della legge. Paolo venuto a conoscenza di ciò scrive appunto la lettera. Contenuto della lettera: abbiamo già fatto cenno all’inizio. Vengono date direttive per la guida della Chiesa. Paolo ha affidato a Timoteo la cura delle Chiese tra i pagani. Insiste con lui perchè eserciti con fermezza e coraggio la funzione ricevuta da Cristo mediante il rito delle imposizioni delle mani: l’annuncio della verità (1, 3-20). L’organizzazione del culto (2, 1-15), la direzione del popolo di Dio nelle diversità dei suoi gruppi: i carismi (3, 16). È il punto di partenza di una riflessione teologica e spirituale sul ministero della Chiesa. Indirizzo. La lettera inizia con il consueto saluto. L’autore scrive: «Paolo, apostolo di Cristo Gesù, per comando di Dio nostro salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza, a Timoteo, mio vero figlio nella fede: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro» (1, 1-2). Nei primi versetti del Io capitolo si possono cogliere due espressioni singolari della lettera: Paolo, secondo l’autore, è apostolo di Cristo Gesù, per comando di Dio, ciò sta a significare che è Dio che ci ha voluto salvi. Timoteo è chiamato da Paolo mio vero figlio nella fede, sono noti i sentimenti di affetto che Paolo nutre per il suo più caro discepolo. Dal versetto 3 si entra nel vivo del problema che ha provocato l’intervento dell’Apostolo: l’esortazione a Timoteo a continuare nella lotta contro i falsi dottori, i quali stanno divulgando false dottrine e pretendono di essere conoscitori dalla legge, e contro i pagani. Paolo mette in guardia il discepolo dal pericolo della diffusione di una dottrina non conforme a quella insegnata da lui, con le conseguenze che ognuno crede di essere competente nello studio della legge giudaica e di farsi una idea propria del Vangelo. Il calore umano delle parole e l’incoraggiamento hanno grande effetto sul carattere piuttosto timido e giovane del discepolo, preoccupato a dover portare da solo il peso della comunità di Efeso. Quindi l’Apostolo passa a parlare di sé: «Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perchè mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero: io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento [Un po’ di autocritica e una secca risposta a quanti gli contestavano la legittimità di Apostolo di Gesù Cristo. Poi aggiunge]. Ma mi è stata usata misericordia, perchè agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù» (1, 12-14). (La stessa fiducia può essere concessa a qualunque uomo per mezzo della grazia, purchè riconosca le proprie colpe e invochi la misericordia di Dio). (cap 2) Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati. Paolo raccomanda Timoteo circa l’organizzazione del culto: compito primario del responsabile di una comunità, un culto che comprenda: domande di preghiere, ringraziamenti per tutti per fare, egli dice, cosa gradita a Dio, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvi. È una affermazione teologica di grande importanza. Ciò vuol significare che non c’è predestinazione alla condanna per nessuno: il rischio è solo dalla parte dell’uomo che può respingere il dono di Dio e autoescludersi dalla salvezza. Una salvezza non preclusa, peraltro, a quelli che non appartengono alla Chiesa, purchè siano retti e onesti (2, 1-7). (cap 3) La scelta dei vescovi e dei diaconi. Un intero capitolo dal contenuto di carattere pastorale, riguarda la scelta dei vescovi e dei diaconi, e termina con discorso sulla Chiesa e il mistero rivelato. Per la prima volta, grazie a questa lettera, possiamo avere un’idea della gerarchia e dell’ordinamento di autorità che andava stabilizzandosi nella Chiesa. L’Apostolo fondatore è l’autorità primaria e può guidare la Chiesa anche per mezzo di delegati quali ad esempio Timoteo o Tito. Questi personaggi corrispondono all’incirca ai futuri vescovi e dopo la morte degli apostoli saranno loro successori alla guida delle chiese locali. Il primo dovere dei delegati è scegliere alcuni aiutanti: gli anziani o sorveglianti delle loro chiese. Esistono però due categorie di aiutanti: i sorveglianti o anziani e i diaconi. Quali requisiti e quali compiti devono avere. I sorveglianti o vescovi sono persone che devono godere di stima di tutta la comunità, Paolo insiste che i vescovi devono essere irreprensibili, sotto tutti gli aspetti. Il loro compito gravoso, pieno di responsabilità con doti non comuni in quanto si collocano come guida e maestri della comunità. Sono persone sposate e il loro stile di vita nell’ambito familiare è la migliore dimostrazione delle loro qualità. I diaconi o servitori (una definizione da tener ben presente) hanno come compito principale la cura dei poveri e la distribuzione dei doni e dell’aiuto fraterno dei cristiani, ciò richiede: determinate qualità morali come per gli anziani, soltanto non viene richiesto la capacità di insegnare, quello che deve primeggiare in essi è lo spirito di servizio, la carità, virtù comuni a tutti i seguaci di Cristo. Al versetto 2° troviamo un preciso riferimento alle donne alle qual Paolo raccomanda che siano dignitose, non pettegole e sobrie, ovviamente deve riferirsi a donne diaconesse di cui parla lo stesso Paolo nella Lettera ai Romani (16, 1). Riprende il discorso sui diaconi ai quali viene richiesto di non risposarsi e di impegnarsi bene nella direzione e nella educazione dei loro figli e le loro famiglie, essi devono fornire un autentico esempio di vita cristiana. Alla luce di quanto sopra possiamo dire che queste raccomandazioni costituiscono per noi insegnamento quanto mai utile e prezioso e che ognuno dovrebbe fare proprio alfine di capire sempre di più quale deve essere il senso della nostra vocazione diaconale. La Chiesa e il mistero rivelato. Gli ultimi versetti del 3° capitolo sono per così dire degli ammonimenti solenni che l’Apostolo rivolge a Timoteo circa il comportamento da tenere nella casa di Dio. Una chiara indicazione su quali debbano essere le principali caratteristiche che deve possedere un vescovo nella Chiesa che Paolo chiama casa di Dio e della responsabilità morale che egli deve avere nella guida spirituale e pastorale della comunità. Paolo afferma inoltre che i capi sono solamente i servi e amministratori, mentre la Chiesa maestra di verità è portatrice del mistero della salvezza. Probabilmente l’Apostolo vuole mettere in guardia il suo discepolo da ogni possibile, umana tentazione autoritaria, mentre il vescovo deve essere soltanto un testimone del mistero di pietà e responsabile della fede dei suoi fedeli. I doveri pastorali. Il 4° capitolo è interamente dedicato dall’autore ai doveri pastorali di Timoteo, doveri che secondo Paolo devono costituire l’arma da contrapporre ai falsi profeti, i quali con le loro false dottrine stanno provocando l’allontanamento di molti cristiani. In particolare Paolo esorta Timoteo ad essere di esempio, nonostante la giovane età; lo raccomanda di essere fedele sia nel comportamento che nelle parole; sollecito nella carità come nella fede; lo invita a mettere in azione la grazia ricevuta per mezzo della imposizione delle mani ad opera di coloro che lo hanno scelto dimostrandogli di essere uniti con lui (la coinonia). Quindi un breve accenno alla prudenza, ora che è lui ad imporre le mani su altri chiamati al servizio della Chiesa, siano essi, dice Paolo, presbiteri o diaconi. L’ultima citazione dell’Apostolo ci interessa molto da vicino, è un punto sul quale riflettere con serietà per comprendere a quale compito delicato è chiamato il diacono. Un compito che non può prescindere da un cammino di preparazione e di formazione per una sempre migliore conoscenza della verità e da un comportamento coerente della vita. Un chiaro e severo monito per tutti noi. La carità cristiana. Il 5° capitolo della lettera è interamente dedicato alla carità che Timoteo deve avere verso tutte le categorie dei cristiani. Paolo esorta alla carità verso i fedeli in generale, ma con un accenno particolare alle vedove; questo delle vedove è un riferimento molto frequente nei testi dell’Antico Testamento; il Signore ha sempre raccomandato di non abusare e non maltrattare le vedove, deboli e indifese, ma di aiutarle insieme ai loro figli. L’Apostolo Paolo fornisce chiare istruzioni a Timoteo su come comportarsi nei confronti dei fratelli e suggerisce quanto segue: - gli anziani non vanno ripresi con asprezza, ma come se fossero padri; - i giovani vanno avvicinati come fratelli; - le donne anziane come se fossero madri; - le donne più giovani come sorelle, in tutta purezza. Non manca il riferimento agli schiavi, come già avvenuto nelle Lettere ai Corinzi, Galati Efesini, Tito, ecc.. Paolo rivolge una raccomandazione agli schiavi credenti in Cristo, quello cioè di rispettare i padroni perchè non venga bestemmiato il nome di Dio a causa loro; alla stessa maniera si rivolge ai padroni credenti affinchè abbiano riguardo verso gli schiavi e li considerino come fratelli. La lettera si conclude con un altro severo ammonimento rivolto ai ricchi (c. 6). Paolo suggerisce un capovolgimento di mentalità e di comportamento, sicuramente attuale anche per i cristiani dei giorni nostri. Quanti di essi fanno un retto uso delle ricchezze? Affinchè questo monito serva come esempio per tutti noi lo trascriviamo per intero: «Ai ricchi in questo mondo raccomanda di non essere orgogliosi, di non riporre la speranza sull’incertezza delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dá con abbondanza perché ne possiamo godere; di fare del bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare, di essere generosi, mettendosi così da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera» (6, 17-19). Una vera lezione di vita cristiana che ci deve far riflettere molto. Paolo si congeda da Timoteo invitandolo a custodire la verità della sacra dottrina e a tenersi fuori dai pericoli delle false dottrine. Una lettera stupenda, piena di insegnamenti di fede e di carità fraterna!







Italo Valente

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